Corriere della Sera

«Il tecnico di provincia non esiste Mi sento pronto per la Nazionale»

L’allenatore dello Swansea: «Ci sono già andato vicino prima di Conte»

- Paolo Tomaselli

Ritorno da protagonis­ta Francesco Guidolin, qui sulla panchina dello Swansea, è tornato ad allenare dopo un anno e mezzo di sosta (Getty Images)

bene. Ma ho gioito perché le abbiamo vinte».

Siete a più 10 sulla zona rossa. Vi salvate?

«Abbiamo indubbiame­nte migliorato la nostra posizione e questo è molto importante. Ma restiamo coi piedi per terra, perché il calendario è difficile. E qui le partite non sono mai chiuse e i ritmi sono molto elevati».

Come lo vedete il fenomeno Leicester?

«Con ammirazion­e, anche per Claudio Ranieri che stimo tantissimo, ma con relativa sorpresa. Li vediamo giocare e capiamo che stanno sognando a occhi aperti: a volte i sogni si possono realizzare, perché se tutti sognano allo stesso modo si uniscono delle forze che sembra che non possano esistere. E invece ci sono e fanno ottenere risultati insperati».

Sul sito del club lei ha voluto lasciare un messaggio dopo la morte di Johan Cruyff.

«È stato l’idolo della mia adolescenz­a, assieme a Eddy Merckx. Erano gli anni 70, provavo a portare i capelli come lui, le basette lunghe. Era il 68 calcistico. Qualcuno di più bravo ci sarà stato, ma per me il Pallone d’oro di sempre va a Cruyff. Sono giorni tristi per me».

Dal 1989 qual è la stata la sua annata doc?

«Quella dell’Udinese 2010-2011, con Sanchez e Di Natale, capace di arrivare ai preliminar­i di Per intenditor­i L’immagine? Non la curo per scelta. Mi sento come quei registi che non vengono premiati a Hollywood ma piacciono a una nicchia di pubblico

Modello inglese In Premier non è meglio il calcio ma l’ambiente Etichettar­e i tecnici è una moda sola italiana: Sarri conferma che se si è bravi si ha successo Champions: se fosse stata mantenuta com’era, l’anno dopo potevamo giocare per lo scudetto».

Il calcio italiano è malato come si dice?

«Dal punto di vista delle espression­i tecniche direi di no e può competere con le altre leghe. Basta guardare la Juve con il Bayern o al gioco espresso da Napoli e Roma. Ma tutto quello che non riguarda il campo deve cambiare: l’atmosfera qui è più bella e da noi non so se riusciremo mai ad averla. Non vedo passi in avanti».

Lo scudetto lo vince ancora la Juventus?

«È una bella lotta col Napoli e lo sarà fino alla fine. Può bastare un inciampo di una delle due per cambiare l’equilibrio».

Sarri a Napoli ha avuto l’occasione in una grande squadra che lei non ha mai avuto?

«Sarri ha avuto l’occasione alla quale io ho rinunciato, una delle 6/7 chiamate che ho ricevuto quando ero fermo. Non ho alcun rimpianto e anzi faccio i compliment­i a Sarri. Del resto non avevo dubbi...».

Riguardo a cosa?

«Quello dell’allenatore bravo solo in provincia è un luogo comune tutto italiano. Sono convinto che avrei potuto fare molto bene anch’io».

Della serie A cosa la colpisce?

«L’esplosione fragorosa di Dybala: non dimentichi­amoci che da noi all’inizio aveva fatto fatica anche Zidane. Berardi è un talento molto interessan­te, così come Bernardesc­hi: stanno crescendo dei giovani italiani importanti».

Che Italia si aspetta all’Europeo?

«Sono ottimista. Sia per la materia prima che sta migliorand­o, sia perché Conte con l’aiuto dei “vecchiotti” e soprattutt­o con quello di Buffon, tirerà fuori tutto il meglio dai ragazzi. E vorrà lasciare il segno prima di andarsene».

Molti, come lo stesso Conte, vogliono venire in Inghilterr­a: hanno ragione?

«Secondo me sì. Il Chelsea sceglie uno dei tecnici migliori d’Europa. Ma molti altri allenatori italiani verrebbero qui se potessero. E farebbero anche una scelta come quella che ho fatto io, rispondend­o di sì allo Swansea».

In tanti vogliono invece la Nazionale. Il suo nome lo fanno in pochi: si sente sottostima­to, magari solo a livello d’immagine?

«No. La scelta di non curare molto l’immagine è mia. E due anni fa, prima che si liberasse Conte, penso di essere stato molto vicino alla panchina azzurra, almeno secondo i rumors. Mi piace quando parlano bene di me, perché credo di aver fatto molto bene in carriera: mi sento come quei registi che non vengono premiati a Hollywood, ma piacciono tantissimo a una nicchia. E questo mi gratifica».

A chi dice che lei soffrirebb­e la pressione della panchina azzurra cosa risponde?

«Mi sento molto in equilibrio in questo momento particolar­e della mia vita. E anche molto tranquillo. Vivo il calcio con grande intensità, senza la quale non sarei diventato il settimo allenatore con più presenze della storia della serie A. Per quello che ho fatto non devo ringraziar­e nessuno. E penso di avere l’equilibrio e la lucidità per poter gestire ogni situazione. Anche sulla panchina della Nazionale».

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