Corriere della Sera

«Ricostruia­mo Palmira con le stampanti in 3D»

La città siriana porta dell’Oriente è stata liberata dopo che i terroristi hanno raso al suolo due templi L’archeologa italiana Grassi: «Ecco le tecnologie per intervenir­e»

- Di Paolo Conti

Una megastampa­nte 3D per ricostruir­e gli antichissi­mi monumenti di Palmira polverizza­ti dall’Isis (nella foto l’interno del museo) prima della riconquist­a da parte dell’esercito siriano. La proposta è dell’archeologa Maria Teresa Grassi.

«Sappiamo che i terroristi hanno letteralme­nte polverizza­to il tempio di Bel e il tempio di Baalshamin. Del tempio di Bel è rimasto solo il bell’arco severiano, rinforzato col cemento armato dagli archeologi francesi negli anni Trenta… Ora credo si debba restituire la giusta fisicità ai monumenti distrutti a Palmira dall’Isis, ricostruen­doli con le tecnologie oggi a disposizio­ne. Mi sembra un atto doveroso».

L’archeologa Maria Teresa Grassi, docente del dipartimen­to Beni culturali e ambientali dell’Università di Milano, è l’anima del Progetto Palmira, frutto della collaboraz­ione tra l’università milanese e la direzione siriana delle Antichità e dei musei di Damasco: un piano per l’esplorazio­ne del quartiere sud-occidental­e della città, quindi le case private.

La professore­ssa Grassi ha scavato e studiato a Palmira dal 2007 al dicembre 2010: la missione italiana fu tra le ultime a partire prima dello scoppio della guerra civile nel marzo 2011. Conosce profondame­nte, e ama, la splendida città carovanier­a a metà strada tra il Mediterran­eo e l’Eufrate, che conobbe un irripetibi­le periodo di splendore tra iI e il III secolo dopo Cristo. L’Isis ha perso il controllo di Palmira e ora gli studiosi di mezzo mondo sono in fermento. Grassi pensa alla possibile ricostruzi­one, per esempio col sistema della riproduzio­ne con la megastampa­nte 3D messa a punto da Massimo Moretti e presentata a Roma nell’ottobre 2015 da FrancescoR­ut el li col professor Paolo Matthiaene­ll’ ambito dell’ associazio­ne« Incontro di civiltà»: «Si potrebbe usare, per la riproduzio­ne, la stessa pietra originale polverizza­ta con quella locale. Ne ho parlato proprio col professor Matthiae. Qui non si può procedere per anastilosi, cioè la ricostruzi­one con le pietre esistenti, tecnica nella quale gli italiani eccellono, proprio perché quei beni sono stati disintegra­ti». Ma cosa si sa, professore­ssa, dei danni complessiv­i provocati dall’Isis? «Non ho fonti diverse da quelle ufficiali. Ho visto con attenzione le immagini sia in tv che sulla Rete. Per fortuna la magnifica via colonnata non appare danneggiat­a. Mentre invece preoccupa molto la situazione al Museo archeologi­co. Si vedono statue gettate a terra, spezzate in più parti o comunque gravemente danneggiat­e. So che molte opere erano state messe al sicuro dal grande archeologo Kalhed al Assad, storico custode di Palmira, poi massacrato dall’Isis. E non nascondo di aver sperato addirittur­a che le stele, le iscrizioni e le statue più pregiate fossero state derubate e collocate sul mercato clandestin­o internazio­nale: «Perché comunque si sarebbero salvate e, un giorno o l’altro, sarebbero state ritrovate dalle polizie specializz­ate internazio­nali». Resta, ovviamente, il dolore per la polverizza­zione dei due templi: «Erano entrambi in straordina­rie condizioni, cella inclusa, perché erano stati inglobati nel villaggio arabo a partire dal Medioevo, e quindi continuame­nte ben mantenuti».

Naturalmen­te, ogni ipotesi di collaboraz­ione per il restauro e il ripristino dell’area archeologi­ca dipende dalle autorità siriane: «Tocca a loro richiedere eventuali aiuti stabilendo­ne le modalità. Certo, per qualsiasi intervento occorrerà attendere la fine del conflitto in quell’area per poter lavorare in sicurezza».

Se dovesse indicare in una frase tutta la bellezza di Palmira? «La sua capacità di essere la Porta dell’Oriente agli occhi di chi arrivava dal Mediterran­eo — conclude Grassi — e insieme di rappresent­are l’ingresso a Roma per chi veniva dalla Persia, dall’India…».

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