La lista di Mosca Una minaccia ai media occidentali
Per i giornali è abbastanza normale finire sotto la lente d’ingrandimento di istituti di ricerca che esaminano il loro lavoro. Ma quando questo viene fatto da un organismo che è diretta filiazione del governo di una delle maggiori potenze del pianeta e sotto indagine è l’atteggiamento dei vari mass media nei confronti di quello stesso Paese, la cosa si fa inquietante. L’Istituto russo di studi strategici ha pubblicato una sua analisi sull’atteggiamento delle testate internazionali verso l’esecutivo di Mosca. Si esamina quello che viene definito «l’indice di aggressività» rispetto alla Russia. E già il termine è francamente inammissibile, visto che viene applicato nei confronti di quotidiani e periodici, dal New York Times all’Economist, dal Corriere della Sera a Repubblica, la cui ragione sociale è dare notizie, non dichiarare guerre. L’istituto, come si diceva, è diretta emanazione del Cremlino.
L’America riscopre Cuba, nuova terra promessa per migliaia di businessmen e turisti che sulla scia di Obama stanno sbarcando nel «regno» dei Castro. E gira le spalle al (finora) molto più fedele Portorico, «Estado Libre Asociado» agli Stati Uniti che sta affondando sotto il peso di un debito da 73 miliardi di dollari nell’indifferenza pressoché generale.
L’ultimo S.O.S è stato raccolto martedì dalla giudice della Corte Suprema Sonia Sotomayor, portoricana d’origine, che si è fatta portavoce della battaglia legale in corso fra il Portorico e i suoi creditori, in gran parte banche di Wall Street e risparmiatori statunitensi. La prima giudice ispanica dell’alta corte ha difeso il diritto del Parlamento di San Juan a decretare la bancarotta dei propri enti pubblici per poter così ristrutturare almeno in parte l’enorme debito.
Il caso è un groviglio legale e politico. Il Portorico è un «territorio non incorporato» degli Usa — da tempo in trattative per diventare il 51° Stato federato — e non può avvalersi dei benefici della legge statunitense sulla bancarotta. Ma allo stesso tempo, secondo i tribunali
Esi vanta nel suo sito di esser stato fondato dal presidente della Federazione Russa, cioè Vladimir Putin. L’insolito «indice» deriva, secondo le spiegazioni dello stesso Istituto, dal rapporto tra pubblicazioni «negative» e pubblicazioni «neutrali».
Ora, ad esempio, scrivere che la Russia non riesce a uscire dalla recessione o che ha annesso la Crimea, viene considerato « negativo » o «neutrale», visto che si tratta di fatti assolutamente oggettivi e incontrovertibili? L’istituto ha esaminato quasi tutti i Paesi occidentali ed è arrivato alla conclusione che alcuni, come gli Stati Uniti e la Germania, hanno un atteggiamento particolarmente negativo. Altri, Italia, Francia e Belgio, più «neutrale».
Per quanto riguarda il nostro Paese, gli analisti si spingono fino a calcolare la presunta «aggressività» dei singoli giornalisti, compreso chi scrive, ai quali viene assegnato un indice: 2,4, 1,41, 1,13, eccetera.
Il tutto potrebbe essere considerato semplicemente un inutile delirio da guerra fredda, visto anche il titolo del rapporto: «I mass media stranieri nel 2015, vettore antirusso». Ma l’istituto è diretto da un generale dei servizi di spionaggio estero (l’ex primo direttorato del Kgb) e usa un linguaggio da anni Cinquanta. Dietro c’è il Cremlino, e il presidente Putin.
Allora cosa significa questa iniziativa? Che messaggio si vuole mandare ai giornali bollati come «aggressivi»? Se volessimo usare anche noi lo stesso linguaggio dell’Istituto, parleremmo di una inaccettabile «provokaziya», di quelle in auge ai tempi del Kgb.
@Drag6