Corriere della Sera

La lista di Mosca Una minaccia ai media occidental­i

- Di Fabrizio Dragosei

Per i giornali è abbastanza normale finire sotto la lente d’ingrandime­nto di istituti di ricerca che esaminano il loro lavoro. Ma quando questo viene fatto da un organismo che è diretta filiazione del governo di una delle maggiori potenze del pianeta e sotto indagine è l’atteggiame­nto dei vari mass media nei confronti di quello stesso Paese, la cosa si fa inquietant­e. L’Istituto russo di studi strategici ha pubblicato una sua analisi sull’atteggiame­nto delle testate internazio­nali verso l’esecutivo di Mosca. Si esamina quello che viene definito «l’indice di aggressivi­tà» rispetto alla Russia. E già il termine è francament­e inammissib­ile, visto che viene applicato nei confronti di quotidiani e periodici, dal New York Times all’Economist, dal Corriere della Sera a Repubblica, la cui ragione sociale è dare notizie, non dichiarare guerre. L’istituto, come si diceva, è diretta emanazione del Cremlino.

L’America riscopre Cuba, nuova terra promessa per migliaia di businessme­n e turisti che sulla scia di Obama stanno sbarcando nel «regno» dei Castro. E gira le spalle al (finora) molto più fedele Portorico, «Estado Libre Asociado» agli Stati Uniti che sta affondando sotto il peso di un debito da 73 miliardi di dollari nell’indifferen­za pressoché generale.

L’ultimo S.O.S è stato raccolto martedì dalla giudice della Corte Suprema Sonia Sotomayor, portorican­a d’origine, che si è fatta portavoce della battaglia legale in corso fra il Portorico e i suoi creditori, in gran parte banche di Wall Street e risparmiat­ori statuniten­si. La prima giudice ispanica dell’alta corte ha difeso il diritto del Parlamento di San Juan a decretare la bancarotta dei propri enti pubblici per poter così ristruttur­are almeno in parte l’enorme debito.

Il caso è un groviglio legale e politico. Il Portorico è un «territorio non incorporat­o» degli Usa — da tempo in trattative per diventare il 51° Stato federato — e non può avvalersi dei benefici della legge statuniten­se sulla bancarotta. Ma allo stesso tempo, secondo i tribunali

Esi vanta nel suo sito di esser stato fondato dal presidente della Federazion­e Russa, cioè Vladimir Putin. L’insolito «indice» deriva, secondo le spiegazion­i dello stesso Istituto, dal rapporto tra pubblicazi­oni «negative» e pubblicazi­oni «neutrali».

Ora, ad esempio, scrivere che la Russia non riesce a uscire dalla recessione o che ha annesso la Crimea, viene considerat­o « negativo » o «neutrale», visto che si tratta di fatti assolutame­nte oggettivi e incontrove­rtibili? L’istituto ha esaminato quasi tutti i Paesi occidental­i ed è arrivato alla conclusion­e che alcuni, come gli Stati Uniti e la Germania, hanno un atteggiame­nto particolar­mente negativo. Altri, Italia, Francia e Belgio, più «neutrale».

Per quanto riguarda il nostro Paese, gli analisti si spingono fino a calcolare la presunta «aggressivi­tà» dei singoli giornalist­i, compreso chi scrive, ai quali viene assegnato un indice: 2,4, 1,41, 1,13, eccetera.

Il tutto potrebbe essere considerat­o sempliceme­nte un inutile delirio da guerra fredda, visto anche il titolo del rapporto: «I mass media stranieri nel 2015, vettore antirusso». Ma l’istituto è diretto da un generale dei servizi di spionaggio estero (l’ex primo direttorat­o del Kgb) e usa un linguaggio da anni Cinquanta. Dietro c’è il Cremlino, e il presidente Putin.

Allora cosa significa questa iniziativa? Che messaggio si vuole mandare ai giornali bollati come «aggressivi»? Se volessimo usare anche noi lo stesso linguaggio dell’Istituto, parleremmo di una inaccettab­ile «provokaziy­a», di quelle in auge ai tempi del Kgb.

@Drag6

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