Corriere della Sera

Hanno voluto colpire un simbolo

Una comunità piccola, nel mirino come gli sciiti. Svanisce il sogno del fondatore del Paese

- Di Andrea Riccardi

Per gli islamisti di Jamaat-ul-Ahrar colpire i «deboli» e poveri cristiani di Lahore significa combattere un Pakistan di convivenza tra sunniti e le minoranze. Era il sogno del fondatore del Paese, Muhammad Jinnah, che si ispirava al modernismo laico di Mustafa Kemal Atatürk.

Questa è stata davvero una Pasqua di sangue a Lahore. I cittadini facevano festa nel parco «il giardino di Iqbal» dal nome del poeta nazionale, una grossa area verde ai margini della città di otto milioni di abitanti. Era festa per le famiglie cristiane, che hanno avuto tanti morti nell’attentato. I cristiani, in larga parte, vivono in quartieri marginali come Youhannaba­d (qui sono più di 100.000). Quest’area, il cui accesso è un arco con la croce, mostra tutta la povertà dei cristiani pachistani. Qui, un anno fa, un attacco terrorista colpì due chiese e uccise diciassett­e fedeli. A Pasqua, per i cristiani, andare nel parco era un gesto di festa e di libertà dalla paura, nonostante i recenti dolori. Era un modo di superare le rigide misure di sicurezza di fronte alle chiese e agli altri obbiettivi del terrorismo e vivere la gioia pasquale mischiati agli altri cittadini pachistani, sperando in un futuro migliore.

Invece è stata una Pasqua di sangue che ha colpito famiglie cristiane e musulmane (mostrando, tra l’altro, il disprezzo dei terroristi verso la vita dei loro correligio­nari). L’attentato ha voluto essere una manifestaz­ione di potenza da parte di Jamaat-ul-Ahrar, rivelatasi capace di colpire anche Lahore, da dove viene il primo ministro Nawaz Sharif. E’ un messaggio per il leader pachistano, da sempre vicino all’Arabia Saudita, impegnato nella lotta al terrorismo e nel rilancio economico, che ha migliorato le relazioni internazio­nali pachistane, come si è visto con il rapporto con Modi, primo ministro dell’India (nemica di sempre del Pakistan). Il premier ha recentemen­te avallato l’esecuzione dell’assassino del governator­e del Punjab, Taseer, un «giusto» musulmano, che portava avanti la riforma della legge che commina la pena capitale per blasfemia. Significat­ivamente, quasi in contempora­nea con l’attentato, si svolgeva nella capitale Islamabad, una manifestaz­ione in difesa di questa legge e l’esecuzione di Asia Bibi. L’attentato sucida, facile quanto devastante, è stato un avvertimen­to a Sharif: gli islamisti vogliono l’instaurazi­one di uno Stato totalitari­o. Il portavoce di Jamaat-ul-Ahrar ha dichiarato minacciosa­mente: «I cristiani sono un nostro obbiettivo e faremo altri attentati di questo tipo in futuro». Per i terroristi, i cristiani sono un obbiettivo, non perché minacciosi, ma per il valore simbolico della loro presenza. Eppure sono una piccola minoranza: l’1,6% (cattolici e protestant­i) tra 200 milioni di abitanti, al 97% musulmani. Le Chiese hanno una vasta rete di scuole dove studiano pure i musulmani. Ma i cristiani in genere sono poveri, perché discendent­i dei fuori casta convertiti al cristianes­imo al tempo dell’impero britannico e spesso rimasti marginali. Accanto ai milioni di muhajir, i musulmani indiani emigrati in Pakistan nel 1947, c’è stato un gruppo di cristiani, identifica­bili dal cognome portoghese, che, al Per i terroristi, i «deboli» cristiani sono un obiettivo, non perché minacciosi ma per il valore simbolico della loro presenza

momento della partition tra India e Pakistan nel 1947, hanno creduto nel sogno di una terra di libertà per le minoranze.

Per Jamaat-ul-Ahrar colpire i cristiani ha una eco internazio­nale. E i terroristi sono attenti ai media e al web, per dare un’immagine di potenza. Colpire i «deboli» cristiani — obbiettivo facilissim­o — significa combattere un Pakistan di convivenza tra sunniti e le minoranze. Era il sogno del fondatore del paese, Muhammad Jinnah, che volle uno Stato di musulmani separato dall’India (osteggiato da Gandhi per cui indù e islamici dovevano vivere insieme), ma si ispirava al modernismo laico di Atatürk. La striscia bianca sulla bandiera pachistana, disegnata da Jinnah, simboleggi­a i non musulmani accanto al verde dell’islam. Ma la storia pakistana è stata invece un’islamizzaz­ione crescente e l’uso dell’islam da parte della politica. La contiguità (politica, etnica e religiosa) con l’Afghanista­n ha determinat­o la presenza di un islamismo transnazio­nale. Non è un caso che Osama bin Laden si sia nascosto in Pakistan.

Paese dichiarata­mente musulmano, il Pakistan è una società pluralista. Oltre i cristiani e gli indù (attorno al 2%), ci sono vari gruppi minoritari, come sikh, parsi, buddisti, ahmadi (un gruppo di origine musulmana non riconosciu­to come tale). Ma soprattutt­o in Pakistan vive una grande comunità sciita, la seconda del mondo dopo l’Iran: circa trenta milioni, con una classe di proprietar­i terrieri contro cui c’è risentimen­to sociale. Il fondamenta­lismo sunnita combatte gli sciiti con atti terroristi­ci e di violenza. Sono episodi che, peraltro, s’inquadrano nello scontro globale tra sunniti e sciiti nel mondo musulmano.

Il Pakistan, che — non lo si dimentichi — è una potenza nucleare, è attraversa­to da numerosi conflitti, originati da varie identità religiose e etniche: stenta a trovare coesione per la composizio­ne complessa della popolazion­e, l’instabilit­à delle istituzion­i e le tensioni alle frontiere. Qualche tempo fa Limes parlava di «vulcano Pakistan». Il terrorismo ne vuole l’esplosione, giocando sulla paura e le contrappos­izioni storiche. Sembra il terreno ideale per internazio­nalizzare lo scontro e mostrare, alla fine, che c’è ovunque un conflitto tra islam e Occidente crociato con le sue propaggini cristiane. E’ la semplifica­zione a cui aspira l’islam totalitari­o su tanti scenari. Questo non è tutto l’islam. Non lo si dice per consolazio­ne. Qualche mese fa, a Lahore, sono stato guidato nella moschea imperiale Moghul dal responsabi­le, l’imam Azad, un musulmano sunnita tradiziona­le, il quale presiede un comitato di tutte le religioni che recentemen­te ha scongiurat­o un attacco fanatico a un’area cristiana. Certo i fondamenta­listi sono tanti. I terroristi delle varie sigle sono folli e violenti. Bisogna combatterl­i con le misure adatte. Non si deve però cedere alla loro idea di guerra globale, nonostante la sfida del terrore. E’ giusto e triste il prezzo pagato da persone indifese, come i bambini, le donne e tutti gli altri nel parco Iqbal a Lahore. Per i cristiani pachistani questa è davvero una Pasqua di sangue: non la vicenda di un gruppo lontano, ma qualcosa che tocca tutti.

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