Caos a Tripoli, perché il nuovo premier non può insediarsi
ATripoli domina da oltre tre giorni un violento caos armato, accompagnato dal timore che si approfondiscano le divisioni interne destinate a facilitare le bande criminali e le infiltrazioni di Isis. Causa prima della destabilizzazione è la prospettiva dell’arrivo nella capitale libica, dalla Tunisia, di Fayez Serraj, il premier del gabinetto di unità nazionale sostenuto da larga parte della comunità internazionale (con l’Italia in testa) e in particolare da Martin Kobler, il diplomatico tedesco designato dall’Onu per tentare di unificare le fazioni libiche.
«Nella capitale è guerra civile strisciante», confermano al Corriere fonti giornalistiche locali. La situazione è degenerata domenica, quando la notizia del prossimo atterraggio di Serraj, da un aereo della Libyan Airlines in arrivo da Sfax, ha innescato una serie di scontri a fuoco tra sostenitori e oppositori. In particolare, le milizie legate al premier locale, Khalifa al Ghwell, hanno preso posizione vicino all’aeroporto di Mitiga determinate a sparare contro l’aereo. Tra i più determinati anche Salah Badi, capo milizia senza scrupoli che due anni fa si dimostrò pronto a distruggere l’aeroporto internazionale di Tripoli pur di non lasciarlo al controllo della milizia di Zintan. Pare dunque che il volo di Serraj fosse già entrato nello spazio aereo tripolino quando i piloti hanno optato per tornare indietro. L’opinione più diffusa è che al momento siano le potenti milizie legate alla municipalità di Misurata a parteggiare per Serraj. Con loro sarebbe schierato anche Hakim Bellaj, uomo forte del fronte islamico moderato che ebbe un ruolo centrale nella battaglia contro Gheddafi nel 2011. Lo scontro si sta allargando al centro della città.
Ieri sono stati segnalati spari sul lungomare tra l’hotel Bab al Bahar, utilizzato dai fedeli di al Ghwell, e lo Abu Leila, dove si sono attestati i loro oppositori. Conseguenza più grave della tensione è l’affievolirsi del monitoraggio da parte delle autorità locali contro le colonne di Isis. A ciò si aggiunge la totale libertà in cui si ritrovano ad operare le bande di scafisti decise ad aumentare il traffico di migranti verso le coste italiane.