Caso Regeni, l’Egitto promette tutte le carte Il Cairo parla di «un’altra pista» e attacca i media. I genitori di Giulio escono dall’ombra: «Menzogne»
«C’è un’altra pista». «Vi daremo tutto». Se davvero ci si potesse fidare delle dichiarazioni di intenti egiziane, la telefonata giunta ieri al procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, potrebbe segnare un punto di svolta nel caso dell’omicidio di Giulio Regeni. Anzi due. Il procuratore generale della Repubblica Araba di Egitto, Nabil Sadeq, ha promesso che il 5 aprile, durante l’incontro che terrà a Roma tra la polizia del Cairo e gli investigatori italiani, sarà consegnata tutta la documentazione richiesta invano dall’inizio dell’inchiesta. Incluse le prove relative all’ultima pista: quella della banda di sequestratori che amavano indossare uniformi di apparati della sicurezza egiziana che da noi non ha convinto nessuno. Lo stesso Pignatone, ieri, pur dichiarando «apprezzamento per l’impegno», ha ribadito a Nabil Sadek «l’inidoneità delle risultanze finora emerse».
Ma dalla telefonata con il magistrato egiziano emerge un imminente nuovo cambio di scenario: « Quella non è l’unica pista», ha detto il procuratore generale a Pignatone. Ma tra gli inquirenti italiani rimane scetticismo. I primi a non credere alla ultima (o forse, a questo punto, penultima) versione dell’omicidio sono Paola e Claudio Regeni. I genitori di Giulio, schivi e combattivi, oggi usciranno dal riserbo. E in una conferenza stampa
alla Camera, organizzata dal presidente della commissione diritti umani, Luigi Manconi, chiederanno con forza di sgomberare il campo da questa ennesima «menzogna».
«Hanno sempre dichiarato grande fiducia nella nostra magistratura. E hanno subìto come un affronto questa nuova e vergognosa versione falsa fornita dal governo egiziano», spiega Manconi, che la scorsa settimana ha promosso la loro audizione di fronte alla commissione che presiede. In quella occasione, la mamma
di Giulio, si era detta «molto scossa», per l’intervista del presidente Al Sisi a Repubblica, visto che non si faceva alcun riferimento a quanto subito dal figlio. «In queste settimane sono state dette molte inesattezze riguardo alla vita di Giulio — aveva rimarcato — spesso il suo nome è stato addirittura infangato. Duole pertanto ancora di più il fatto che nell’intervista non sia mai stata pronunciata la parola “tortura” quando, avendolo potuto vedere personalmente con mio marito, il corpo di Giulio era in condizioni da non lasciare purtroppo spazio a dubbi». E aveva aggiunto che, se qualche elemento di novità potrà affiorare, l’interrogativo riguarda sia la possibilità di accertare «tutta la verità sugli ultimi giorni di vita di Giulio» sia «i tempi» in cui ciò potrà essere possibile.
Si scoprirà davvero il 5 aprile? Certo non depongono a favore di una vera intenzione di cambiare atteggiamento le dichiarazioni di ieri del ministro dell’Interno egiziano, Magdi Abdel-Ghaffar, a margine dei lavori parlamentari, secondo
Il procuratore capo di Roma al collega Sadeq: «Le risultanze finora emerse sono inidonee»
quanto riporta il quotidiano Al Ahram. Il superministro della sicurezza dice che a rendere difficile l’individuazione dei torturatori e assassini di Giulio Regeni, non è il goffo tentativo di nascondere la verità, ma le «campagne ostili» della stampa.
«Queste campagne — lamenta Ghaffar — sono lanciate in primo luogo dai media per sollevare dubbi circa gli sforzi del ministero dell’Interno nel trovare la verità sull’omicidio Regeni».