Corriere della Sera

Nuovi dettagli sull’ex ufficiale nazista che liberò Mussolini dal Gran Sasso e dopo la guerra aiutò Israele L’altra vita del capitano Otto Skorzeny

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La nuova storia comincia da una notizia di cronaca. L’11 settembre 1962, Heinz Krug, scienziato tedesco che durante la guerra aveva lavorato al programma missilisti­co nazista nella base di Peenemünde, sparisce senza lasciare traccia. Un giornale israeliano spiega — ma è un depistaggi­o — che Krug è stato rapito dagli egiziani per «impedirgli contatti con Israele». La verità, emerge ora, è ben diversa. Krug era stato sì rapito. Ma non dagli egiziani: è Skorzeny l’uomo chiave di questa vicenda. Scortato da tre «guardie del corpo» (in realtà agenti del Mossad tra i quali un giovane Yitzhak Shamir, futuro premier di Israele, e un altro, Zvi «Peter» Malkin, membro della squadra che aveva catturato Eichmann in Argentina), Skorzeny porta Krug in una foresta e lo uccide senza esitare un secondo. Lo scienziato si era messo al servizio del programma missilisti­co egiziano e per questo era diventato un pericolo esistenzia­le per lo Stato ebraico.

La soluzione, per un’intuizione dell’allora capo del Mossad, Isser Harel, era arrivata proprio grazie all’arruolamen­to di Skorzeny, avvicinato nel suo buen retiro di Madrid al principio del 1962 da Yosef «Joe» Raanan, il «terzo uomo» del gruppo. A momenti l’operazione era fallita: l’uomo aveva capito che i due giovani erano spie israeliane. «Siete venuti per uccidermi — gridò Skorzeny, il viso ancora affascinan­te solcato da una vecchia cicatrice, un revolver spianato e pronto a sparare —. Siete del Mossad». La risposta, tranquilla e incisiva, in pochi minuti raddrizzò la situazione: «È vero, siamo del Mossad — confessò l’uomo — ma non siamo venuti per ucciderti, se avessimo voluto farlo, saresti morto da settimane». Poi l’incredibil­e offerta: aiutare lo Stato ebraico nella lotta per la sua sopravvive­nza. Skorzeny godeva di una fama intatta nei circoli degli ex nazisti. Poteva avvicinare chiunque tra i molti scienziati che si erano messi (per soldi e non solo) a disposizio­ne degli egiziani desiderosi di sviluppare un programma missilisti­co capace di regalare al Cairo la supremazia strategica sull’odiato vicino. Il punto era: perché mai Skorzeny avrebbe dovuto mettersi al servizio degli israeliani? Non per avidità: «Sono abbastanza ricco, non ho bisogno di denaro», chiarì subito. Ma un accordo poteva essere trovato: «Voglio che Simon Wiesenthal tolga il mio nome dalla sua maledetta lista!». Skorzeny temeva di fare la fine di Eichmann. Dunque accettò l’offerta e da quel momento fu uno dei più validi collaborat­ori dei servizi israeliani. Si recò più volte in Egitto, portando indietro la lista di tutti i principali scienziati (tedeschi) all’opera per costruire il missile capace di colpire Israele. Addirittur­a, inviò lui stesso un pacco bomba che uccise cinque egiziani in una base segreta. E poi, il rapimento e l’omicidio di Kurt Heinz.

Un giorno, Otto Skorzeny fu persino invitato, sotto falsa identità, in Israele e i suoi ospiti lo portarono in visita allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemm­e. Skorzeny durante tutta la visita fu silenzioso e mostrò rispetto. Ma fu riconosciu­to da un ex deportato: «È un nazista!». Uno degli accompagna­tori rispose tranquillo: «Si sbaglia, è un mio parente: anche lui ha sofferto durante la Shoah». Il lavoro — molto fruttuoso — proseguì per anni. Nessuno ha mai capito fino in fondo perché lui abbia accettato: sensi di colpa? Paura di essere ucciso? Il Mossad, dal canto suo, continuò l’opera di intimidazi­one ed eliminazio­ne dei nemici dello Stato ebraico: come per gli organizzat­ori dell’attentato a Monaco 1972. Con ogni mezzo. Anche stringendo, se necessario, patti con il diavolo. O falsifican­do le carte: Wiesenthal non accettò mai di cancellare dalla sua lista il nome di Skorzeny. Così all’ex ufficiale fu consegnata una lettera realizzata a Tel Aviv con la firma (riprodotta) del cacciatore di nazisti: tanto bastò a donargli sonni tranquilli.

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