Corriere della Sera

Ci si indigna per la foto del bagnetto fatto al neonato davanti a una tenda, ma il vero messaggio è un altro: la vita è comunque più forte della morte

- Di Marco Garzonio

Idomeni il vagito d’un bambino il 12 marzo 2016 ha riscattato Aylan Kurdi, il piccolo annegato il 2 settembre scorso: riverso sulla spiaggia turca, maglietta rossa, in fuga dalla guerra. Chi cade a terra a Pasqua può essere un «chicco di grano» ha detto la Via Crucis al Colosseo.

I riti servono a reggere, a contenere, ad incanalare emozioni forti che toccano gli stati primari della psiche; è la coscienza che fa i conti con la finitezza umana: nascere, soffrire, morire e il «dopo». Se non li si pratica in modo burocratic­o, i riti accompagna­no il cammino dell’uomo alla ricerca di sé, del senso da dare all’esistenza, alle difficoltà individual­i e collettive, al corso delle generazion­i. L’antica antifona della vigilia pasquale cantava: «Mors et Vita duello conflixere mirando Dux Vitæ, mortuus, regnat vivus». Cioè: la Morte e la Vita si affrontaro­no in un duello memorabile, al termine del quale il Signore della Vita, morto, regna vivo.

Tra l’icona dell’aeroporto e del metrò di Bruxelles (e del teatro Bataclan di mesi fa) e l’icona di Idomeni la difficile Pasqua 2016 mette in scena il conflitto straordina­rio e continuo tra cultura della morte e cultura della vita quale chiave per interpreta­re le traumatich­e trasformaz­ioni in atto da anni.

Come in una Sacra Rappresent­azione o nei Sacri Monti cari a una grande firma del Corriere della Sera, Giovanni Testori, in modo drammaturg­ico siamo chiamati a capire cosa ci succede, cosa fare a cominciare da noi, da ciascuno di noi. È la catarsi della tragedia in cui il coro proponeva al popolo il bisogno di prendere coscienza e di cambiare mentalità perché la comunità risolvesse le sue crisi.

Alla luce della difficile Pasqua, primo passo è imparare a stare nel conflitto. Chiudersi (frontiere, fili spinati, caccia all’immigrato) è un brutto tentativo di negare la morte; anzi, se ne ingigantis­ce lo spettro e la paura che si genera alimenta l’aspetto persecutor­io della morte. Del pari è sbagliata la visione consolator­ia, perché non tiene conto delle difficoltà oggettive.

La lezione della Pasqua oggi, sulla scia di Francesco, è calarsi nella vita senza lasciarsi omologare dalla mentalità corrente; è riuscire a vedere la Croce di Cristo — parole del Papa al Colosseo — «ancora nei sognatori», in quelli che ritengono possibile contrastar­e il male con il bene, secondo il paradosso della radicalità evangelica delle Beatitudin­i e la testimonia­nza dei Profeti.

Sin dagli inizi, il Dio della Bibbia, cioè di quella componente essenziale delle radici europee, mette davanti all’uomo «la via della vita e la via della morte». Tocca all’uomo scegliere di fare il bene o il male, assumersi le proprie responsabi­lità nel privato e nel pubblico, nelle vicende familiari e sociali, interne e internazio­nali. L’Europa ferita a morte, per non ridurre a puro rito la Pasqua, deve avviare una seria riflession­e e chiedersi in quale direzione, di vita o di morte, ciascuno di noi, nessuno escluso, intende muovere i propri passi.

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