Corriere della Sera

Bpm-Banco, «lista del board» e dipendenti-soci in consiglio

Nella governance del nuovo istituto l’eredità delle vecchie Popolari

- di Fabrizio Massaro

MILANO Nonostante sia stata valutata — e poi approvata, sia pure ancora solo in via preventiva — dalla Bce come una banca spa del tutto nuova, la futura Bpm-Banco Popolare è riuscita a conservare alcuni tratti del vecchio spirito cooperativ­o, a cominciare dalla presenza dei dipendenti-soci nel consiglio di amministra­zione.

Quando mercoledì 23 marzo i due istituti hanno presentato la fusione è stato specificat­o che «nello statuto sarà previsto un meccanismo di rappresent­anza consiliare dei dipendenti». Secondo diverse fonti a conoscenza del dossier, nel consiglio a 19 membri — che sarà presieduto da Carlo Fratta Pasini, attuale numero uno del Banco, con amministra­tore delegato l’attuale ceo di Bpm Giuseppe Castagna e Pier Francesco Saviotti (Banco) alla guida del comitato esecutivo — alle rappresent­anze dei lavoratori sarà riservato un posto nel consiglio, da eleggere in assemblea. I dipendenti che sono iscritti da almeno 5 anni nel libro-soci hanno diritto a presentare una lista, con un candidato per il consiglio. Il quorum per la presentazi­one sarà agevolato, ovvero serviranno meno azioni rispetto agli altri azionisti di capitale, sembra attorno all’1%.

La presenza dei lavoratori dentro il board è da sempre una richiesta dei sindacati dei bancari — per poter avere una più forte voce in capitolo in particolar­e nelle questioni che riguardano ristruttur­azioni ed esuberi — ma soprattutt­o serve a dare rappresent­anza alla componente, ancora forte in Bpm, dei dipendenti-soci dai quali dipendono le ultime, fondamenta­li, assemblee di Bpm: quella del 30 aprile che dovrà rinnovare il consiglio di sorveglian­za (sembra si vada verso una lista unitaria insieme con i soci-non dipendenti di Pietro Lunardi) e poi quella di novembre in cui si voteranno la trasformaz­ione in spa e la fusione.

C’è un altra condizione di favore inserita nella bozza di statuto che la Vigilanza Unica della Bce guidata da Danièle Nouy avrebbe accettato e che va nel senso del mantenimen­to di potere nelle mani dei maggiorent­i attuali dell’istituto. Ed è la possibilit­à che sia lo stesso consiglio uscente, nel 2020, a presentare una lista per il nuovo board.

Chi ha seguito le trattative tra le banche e poi con la Bce conferma l’esistenza di questa clausola, che comunque non è inedita nel panorama degli istituti italiani (l’hanno introdotta per esempio Mediobanca e Veneto Banca), anche se non mai stata usata finora. In Bpm-Banco potrebbe assumere particolar­e rilevanza per il fatto che l’istituto nasce come public company, dunque senza azionisti forti che possono coagulare il consenso su una propria lista di candidati. Essendo una fusione pressoché alla pari (il 54% in mano agli ex soci del Banco e il 46% in mano agli ex Bpm) i principali azionisti con quote attorno al 2% dovrebbero essere post fusione il fondo Athena di Raffaele Mincione, ora al 6% circa di Bpm, e la Fondazione Cr Lucca, se l’ente toscano seguirà l’aumento di capitale da 1 miliardo del Banco Popolare.

Queste condizioni sarebbero state richieste soprattutt­o dal fronte veronese ma fanno gioco anche a quello milanese, grazie alla maggioranz­a qualificat­a necessaria dentro al board per l’approvazio­ne della «lista del consiglio». La Bce ha invece eliminato tutte le altre clausole che limitavano il confronto all’interno del consiglio o in assemblea attraverso maggioranz­e qualificat­e per determinat­e decisioni, in particolar­e quelle straordina­rie.

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