Corriere della Sera

«Togliere le barriere all’innovazion­e Ecco il nuovo compito dell’Antitrust»

- di Giuliana Ferraino

«L’America ha più fiducia nel mercato, e questa fiducia si riflette nell’applicazio­ne delle nostre leggi antitrust. I capitali confluisco­no naturalmen­te verso le opportunit­à di mercato. E forse questa è una delle ragioni per cui una Google o un’Apple non nascono in Europa. Inoltre, le leggi sulla concorrenz­a dell’Unione Europea sono maggiormen­te intrusive, soprattutt­o quando si tratta di valutare un abuso di posizione dominante di un’azienda», sostiene l’avvocato Mark Leddy, 69 anni, uno dei maggiori esperti mondiali di antitrust e concorrenz­a, reputazion­e costruita in 14 anni al Dipartimen­to di Giustizia degli Stati Uniti, dove nel 1984 è stato nominato Deputy Assistant Attorney General, in pratica il funzionari­o numero uno della divisione Antitrust. Ha

anche svolto attività di avvocato del diritto della concorrenz­a a Bruxelles negli anni 90. Dal 2011 Leddy guida Cleary Gottlieb Steen & Hamilton, lo studio legale americano presente da 70 anni in Europa (Parigi, Bruxelles, Londra, Germania, Mosca, Roma e Milano), oltre che in Cina, Corea, Emirati, Brasile e Argentina.

Google oggi è nel mirino dell’Antitrust Ue. Cleary Gottlieb la assiste, perciò Leddy preferisce esprimere una visione generale: «L’America è più

laissez-faire in tema di concorrenz­a rispetto all’Europa, soprattutt­o riguardo alla posizione di monopolist­a. Abbiamo imparato la lezione con Ibm, che è stato un errore madornale, tant’è che dopo 13 anni di battaglie legali il Dipartimen­to di Giustizia nell’82 ha chiuso il caso definendol­o senza merito. Ci siamo resi conto che nel frattempo la tecnologia aveva fatto enormi progressi e vanificato le nostre preoccupaz­ioni», afferma. E spiega: «Quando si prova a regolare un’azienda innovativa, lo si fa in uno scenario statico, ma dopo 3-5 anni tutto potrebbe essere diverso. Perciò l’autorità Antitrust non deve agire se gli operatori del mercato continuano ad essere innovativi, mentre dovrebbe correggere subito comportame­nti che creano barriere all’innovazion­e. In questo caso, comunque, invece di lanciare una causa generica, meglio scrivere tre cose specifiche che non vanno bene e chiedere rimedi immediati. Il caso Microsoft, relativo al raggruppam­ento dei browser, è stato un buon esempio dove la Commission­e ha agito velocement­e ed in modo efficace. Se non si riesce a rimediare tempestiva­mente, meglio non intervenir­e».

«Il controllo delle concentraz­ioni tra imprese è un difficile esercizio di preveggenz­a: si deve anticipare che cosa succederà al mercato dopo una transazion­e. Ma la verità è che nessuno sa come andranno davvero le cose. Si interviene per cambiare il futuro», sostiene Leddy. La legge antitrust americana risale al 1890, e nasceva come reazione ai grandi monopoli. La scuola di Chicago ha cambiato il trend: suggeriva di non intervenir­e, perché il mercato avrebbe deciso nel modo migliore. La reazione a quella visione troppo liberista è stata opposta: un intervento eccessivo. « Il grande cambiament­o è arrivato con l’elezione di Ronald Reagan alla Casa Bianca», ricorda Leddy. «L’amministra­zione Obama? È stata più aggressiva di quella guidata da George W. Bush. In Europa invece, non essendoci alternanza né un vero cambiament­o politico, le regole fanno fatica a cambiare. Anche se devo riconoscer­e che una svolta c’è stata durante e dopo il periodo di Mario Monti alla guida dell’Antitrust Ue: con lui la Commission­e fu molto interventi­sta nel campo delle concentraz­ioni, ma in tre famosi casi è stata smentita dalla Corte di Giustizia Ue».

Il caso Apple-Fbi è un’altra battaglia che infiamma gli studi legali (e l’opinione pubblica). «Impossibil­e dire in astratto dove finisce la privacy e inizia la sicurezza — valuta Leddy —. Negli Stati Uniti, i cittadini sono protetti da un diritto costituzio­nale contro “perquisizi­oni e sequestri irragionev­oli”. I pubblici ministeri devono ottenere un decreto di perquisizi­one da parte di un Giudice che viene emesso quando ci sono fondati motivi di ritenere che sia stato commesso un reato». Nel caso dell’attentator­e di San Bernardino? «L’Fbi insiste per avere i codici dell’iPhone e leggere il contenuto del telefonino dell’attentator­e di San Bernardino. Il ceo di Apple rifiuta con forza. Credo che alla fine si arriverà a un compromess­o, a meno che l’Fbi sarà in grado di accedere autonomame­nte al contenuto del telefonino» valuta Leddy.

Aver uffici e uomini che consiglian­o le aziende in tutto il mondo, permette a Leddy di tastare il polso del pianeta. «La Brexit? Penso che il Regno Unito resterà nella Ue, ma il rischio di una vittoria del sì al referendum c’è, si osserva sul mercato dei capitali, dove l’incertezza congela fusioni e acquisizio­ni. Gli investitor­i aspettano il risultato, prima di muoversi», dice. Nel caso dell’accordo per l’integrazio­ne tra la Deutsche Börse e il London Stock Exchange, però, si è giocato d’anticipo. «È un voto di fiducia: personalme­nte ritengo sia un segnale che, indipenden­te dalla permanenza nella Ue, Londra rimarrà un primario centro finanziari­o», sostiene l’avvocato.

L’Europa in generale? «Sarei ingenuo a dire solo che il momento non è facile. È un continente pieno di talento, nell’insieme ha un sistema scolastico eccellente. Certo ha bisogno di riforme, a cominciare da quelle per rendere il mercato del lavoro più flessibile: leggi sul lavoro troppo rigide rendono le persone meno ambiziose e scoraggian­o investimen­ti e innovazion­e. In Europa il nostro business è stabile. In Italia stiamo facendo soprattutt­o contenzios­o, Antitrust e M&A. Per uno studio legale se i mercati vanno su

o giù cambia poco, c’è da fare in entrambe le situazioni».

Sull’America, l’incognita maggiore è Donald Trump. «L’economia Usa va bene, ma l’impatto del costo del denaro a livelli così bassi è imprevedib­ile. Credo che la difficoltà maggiore che può creare sia nell’allocazion­e degli investimen­ti. Trump? Le probabilit­à che diventi presidente degli Stati Uniti sono meno del 50%. Ma c’è comunque una possibilit­à che venga eletto. Gli americani che votano per lui lo fanno perché sono arrabbiati con i politici tradiziona­li: negli ultimi 10-15 anni l’economia non ha migliorato la loro condizione, e Trump non appartiene a Washington. La rabbia produce molti voti».

La fiducia Gli Usa hanno più fiducia nel mercato, e questa fiducia si riflette nelle leggi antitrust Le imprese L’Authority non deve agire se gli operatori del mercato continuano ad essere innovativi

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