Scugnizzi e cantanti: stereotipi di una città nel mirino della satira
Rossi protagonista del film «Troppo napoletano»
Smessi i panni di Mia Martini in Tale e quale Show, Serena Rossi torna al cinema giocando sugli stereotipi della sua città. I contrasti, gli scugnizzi, i cantanti neomelodici: è la Napoli mille colori. Con Troppo napoletano di Gianluca Ansanelli (dal 7 aprile) comincia la sinergia tra Alessandro Siani e la Cattleya per individuare nuovi comici. Il film parte da una storia d’amore tra due bambini, lei (Giorgia Agata) è di Posillipo e lui (Gennaro Guazzo) del Rione Sanità. Una sorta di Romeo e Giulietta nella Napoli popolana e chiattilla, cioè gli arricchiti.
Lei, Serena, che ruolo ha?
«Sono la tipica mamma napoletana, ansiosa, apprensiva. Ho avuto il figlio da un cantante neomelodico che muore in modo assurdo. Alla fine dell’esibizione Sarà il Canada, con una retrospettiva dedicata a David Cronenberg (foto) — regista di opere di culto che hanno fatto la storia del cinema da La mosca a Inseparabili, da Crash a La promessa dell’assassino, fino al più recente Maps to the stars —, il Paese ospite della 14ª edizione di Ischia Global Film & Music fest, che dal 9 al 17 luglio porterà nel golfo di Napoli le star internazionali del cinema e della musica. L’annuncio è stato dal presidente dell’Accademia Internazionale Arte Ischia Giancarlo Carriero e dal produttore Pascal Vicedomini. Il Canada sarà protagonista anche al Social Cinema Forum che sarà in larga parte dedicato al tema dei rifugiati. ai matrimoni c’è il rito di lanciarsi sul pubblico, ma il cameriere annuncia che sono pronti i gamberoni e la gente corre al buffet mollando la presa».
Anche lei ha cominciato cantando ai matrimoni.
«Ricordo uno sposo mummificato nella carta igienica adagiato sul carrello di pesce, ricordo mio nonno che scriveva canzoni per Mario Merola».
E lei viene da un passato «troppo napoletano»?
«All’inizio ne soffrivo, mi dicevano che dovevo gesticolare di meno, che parlavo a manetta e che si sentiva l’accento. Papà mi suonava la ninnananna con la chitarra, poi avevamo il karaoke. Sono cresciuta a Miano, tra Capodimonte e Scampia, non sono una chiattilla, mamma per proteggermi mi fece fare le
scuole da un’altra parte».
Ha lasciato presto Napoli per andare a Roma.
«Ho un rapporto viscerale e conflittuale con Napoli, la quotidianità è faticosa, poi ascolto Pino Daniele e mi commuovo. Sì, se ne andò anche lui, però continuava a raccontarla la città».
Con Brignano ha portato
«Rugantino» a Broadway.
«Ho visto pullman di italoamericani che venivano dal Canada, vecchietti che si asciugavano le lacrime e ci ringraziavano per avergli portato un po’ d’Italia. Gli italiani d’America esistono, eccome».
Lei è un’attrice che canta.
«Ho altri due film, Il sogno di Rocco (spero che cambino il Mamma Serena Rossi, 30 anni, in una scena di «Troppo napoletano» di Ansanelli, insieme con Gennaro Guazzo, suo figlio sul set
titolo perché sembra quello di un film hard). E di nuovo i Manetti, dopo Song’e Napule: polizia, camorra e musica. Sono tornata a Tale e quale show. Whitney Huston mi ha fatto tremare e vincere, quest’anno con Mia Martini ero terrorizzata, la sua voce era graffiata, lontana dalla mia. E poi le aspettative, il ritorno della campionessa. Mi sono bloccata, non mi usciva la voce. Sono arrivata terza. È un lavoro pazzesco, devi studiare le cantanti anche psicologicamente».
Cioè?
«Mia Martini alzava le labbra per mostrare le gengive, era arrabbiata, delusa, contratta, capisci cosa stava provando. Per Beyoncé ballavo col body nero, dovevo essere sensuale e mi sentivo un pezzo di legno. Laura Pausini mi piace, ha una storia simile alla mia, cantava col papà, faceva pianobar con lo zio. E poi Whitney Huston: ultima puntata, cantavo nella tonalità originale un brano che parla di un addio, “Io me ne vado e vi amerò per sempre”. L’ho dedicata a chi ha creduto in me, ai miei genitori. Ero emozionata e triste».
Troppi talent in tv?
«Sì, sono d’accordo. Spuntano come funghi e mi sono stancata, si è perso il sapore della novità. Però il nostro non è un talent: è uno show, ed è come scalare una montagna».