Corriere della Sera

Marcella Marmo? Candidiamo­la allo Strega

- Di Paolo Di Stefano

Il 17 marzo, la casa editrice Rubbettino ha promosso il suo Atlante delle mafie, segnalando una sola delle oltre quaranta voci contenute nei tre ponderosi volumi, quella intitolata «L’Ottocento della camorra», scritta da Marcella Marmo. Eppure avrebbe potuto vantare ben altre firme, come quella del presidente del Senato Piero Grasso, che ha redatto la voce sul maxiproces­so. Invece no, ha deciso di lanciare la ponderosis­sima e molto meritevole opera con il nome di Marcella Marmo, la storica napoletana sospettata di essere Elena Ferrante o una delle possibili Elene Ferrante. Non si può dire che la casa calabrese, pur essendo un’editrice accademica e generalmen­te molto austera, manchi di tempestivi­tà e di capacità di marketing, visto che nell’infuriare internazio­nale del nome della Marmo, ha pensato di piazzare la sua pubblicità. Ora, sia o non sia Elena Ferrante, propongo Marcella Marmo per lo Strega: se fossi Roberto Saviano la candiderei a occhi chiusi proclamand­o che se non verrà premiata la Marmo il maggior premio d’Italia non avrà più alcun credito. A differenza dello pseudonimo più famoso del mondo letterario mondiale, candidato l’anno scorso a furor di popolo, Marcella Marmo ha l’indubbio merito di essere un autore in carne e ossa, capace di rispondere de visu alle interviste e non solo via fax o mail per interposto editore. Si dirà che non ha scritto romanzi. È vero ma i suoi saggi storici (su rivista: che male c’è?) hanno notevoli qualità di scrittura narrativa, oltre che una mai disprezzab­ile tensione etica: vedi l’indagine su Pupetta Maresca. E poi, francament­e, che senso ha la distinzion­e tra generi di scrittura in un momento in cui persino i generi sessuali vengono messi in discussion­e? Inoltre, Marmo pubblica per un piccolo editore e non per uno di quei colossi che vincono sempre. La seconda edizione dello Strega, nel 1948, andò a Cardarelli per delle prosette autobiogra­fiche, che non avevano nulla di romanzesco, edite dalla marginale Meridiana (fondata l’anno prima a Milano da Giuseppe Eugenio Luraghi). Sarebbe un colpaccio incredibil­e, nell’anno di Mondazzoli, premiare Rubbettino per un saggio di poche decine di pagine. Sarebbe un colpaccio, anche perché potrebbe essere un modo (lecito) di premiare la Ferrante a tradimento, per un’opera considerat­a minore. Ma si sa che a volte le opere minori valgono più delle maggiori: per esempio, chi lo dice che «La costruzion­e della verità giudiziari­a» sul caso Cuocolo, esemplare studio della Marmo, valga meno del bestseller mondiale «La storia della bambina perduta»?

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