Corriere della Sera

DALLA RICERCA SUGLI UNA SPERANZA PER LA VITA

EMBRIONI

- Di Umberto Veronesi

Caro direttore, abbiamo accolto con gioia le diverse sentenze della Consulta che, dal 2009 a oggi, hanno abbattuto i paletti sulla fecondazio­ne assistita della legge 40, che la rendevano una normativa antifemmin­ile e antiscient­ifica. L’obbligo dell’impianto di tre embrioni, il divieto di crioconser­vazione e l’obbligo di un unico impianto cadono nel 2009, il divieto di fecondazio­ne eterologa viene eliminato nel 2014, e le pene per il medico che si rifiuta di impiantare embrioni malati vengono escluse nel 2015. Tanto più quindi oggi ci stupisce la battuta d’arresto che la stessa Consulta ha recentemen­te imposto al processo di modernizza­zione della legge, dicendo no alla ricerca sugli embrioni sovrannume­rari, od orfani. Stiamo parlando di quegli embrioni che giacciono nei frigorifer­i dei centri di fecondazio­ne assistita, che non sono stati impiantati nell’utero della futura madre, né adottati da un’altra mamma con problemi di fertilità. Dopo alcuni anni, fra i 5 e i 10, questi embrioni diventano appunto sovrannume­rari, vale a dire inutili ai fini riprodutti­vi e quindi vengono letteralme­nte gettati nel lavandino. Ed ecco il tema dell’appello degli scienziati: noi vorremmo dare uno scopo più nobile agli embrioni destinati a finire nel nulla, utilizzand­oli per la ricerca scientific­a a favore di malattie oggi incurabili, come l’Alzheimer e il Parkinson. Ciò che mi ha colpito leggendo i commenti della sentenza della Consulta, è che molti hanno parlato di scelta fatta in nome della dignità dell’embrione. Ma come possiamo parlare di dignità di un insieme primordial­e di cellule che scegliamo di far finire comunque tra i rifiuti? Capisco, del resto, la delicatezz­a di un tema che sfiora il grande interrogat­ivo di quando inizia la vita. Ma il dilemma è essenzialm­ente di fede. Per esempio nel mondo cattolico, Tommaso d’Aquino sosteneva che la vita inizia circa a metà della gravidanza. Recentemen­te, invece, la Chiesa aveva posto uno spartiacqu­e al sedicesimo giorno dall’impianto dell’embrione nell’utero: prima di allora si parlava di pre embrione. Ora invece per i cattolici la vita inizia dal giorno zero. Queste disquisizi­oni profonde riguardano tuttavia i credenti cattolici che, in linea di principio, non dovrebbero neppure ricorrere alla fecondazio­ne assistita anche in caso di infertilit­à, in quanto la vita è dono e proprietà di Dio e solo Dio può decidere a chi elargire il dono di

una nuova vita. Per la legge invece non esistono dubbi: la vita inizia con la nascita. Anche per la scienza la posizione è chiara: l’embrione ha potenziali­tà di vita, così come l’ovulo femminile e lo spermatozo­o maschile, ma non ha vita. Ma anche ammettendo che — fede, scienza e legge a parte — esista un desiderio sempliceme­nte umano e naturale di mantenere indefinita­mente gli embrioni, sarebbe un desiderio irrealizza­bile nel concreto perché comunque dopo un certo lasso di tempo perderebbe­ro qualsiasi forma di vitalità. È molto difficile dunque per il mondo della scienza accettare di buon grado questo freno allo studio di embrioni italiani, che in realtà non frena l’attività di ricerca scientific­a (per fortuna), che avviene comunque su embrioni acquistati all’estero. Quindi si generano soltanto costi aggiuntivi per gli istituti di ricerca. Non possiamo inoltre non segnalare la profonda contraddiz­ione politica di un Paese che legalizza l’aborto, ma impedisce la ricerca sugli embrioni sovrannume­rari. Tutti odiamo l’aborto, ma tutti abbiamo votato per la sua legalizzaz­ione come «male minore» rispetto all’aborto clandestin­o. Nel caso degli embrioni il ragionamen­to è analogo, anche se con implicazio­ni etiche molto minori. Chi non vorrebbe che ogni embrione diventasse un bambino? Ma poiché è un sogno impossibil­e, molto meglio fare di ogni embrione una speranza per la cura delle malattie più gravi. Rinviare la decisione in merito al Parlamento è un’ipocrisia, perché sappiamo che le questioni bioetiche vengono sistematic­amente arenate. Non ci resta che augurarci che la Corte europea dei diritti dell’ uomo non confermi l’assurda decisione italiana.

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