Corriere della Sera

Jessica Knoll: il mio libro è autobiogra­fico, venni stuprata

- Di Teresa Ciabatti

«To all the Tifani Fanellis of the world. I know» («A tutte le Tifani Fanelli del mondo. Io so») è la dedica del romanzo La ragazza più fortunata del mondo di Jessica Knoll (Rizzoli). Quando i lettori chiedono all’autrice il significat­o di quel «I know», cosa sa lei, la Knoll risponde che sa di non appartener­e. Lei non appartiene alla schiera delle vittime di stupro. Discorso chiuso.

Presentazi­one dopo presentazi­one però, lettera dopo lettera, la domanda si ripete: cosa sa lei? Perché scrive «I know»? E allora, di fronte ai suoi lettori, di fronte alle migliaia di persone che hanno amato il romanzo, Jessica Knoll confessa: lei è stata stuprata. Dunque La ragazza più fortunata del mondo è un romanzo autobiogra­fico, o almeno lo è in parte. Come la sua protagonis­ta, Jessica Knoll a quindici anni ha subito una violenza di gruppo.

E ricorda: ricorda la festa, ricorda il ragazzo che le piaceva con cui ha flirtato, ricorda di aver bevuto, ricorda la camera da letto, e il ragazzo che le piaceva sopra di lei, e

Il trauma Una violenza di gruppo ai tempi della scuola, durante una festa. Poi la vergogna e la rimozione

poi il secondo ragazzo, e il terzo. Ricorda il sangue... Jessica Knoll ricorda la vergogna del giorno dopo, ma soprattutt­o ricorda che nessuno a scuola chiamava l’episodio stupro. Solo una serata ad alto tasso alcolico! L’irruenza di un paio di ragazzi su una ragazza consenzien­te. Non è stupro.

Dopo anni di silenzio e rimozione — non era stupro, non era stupro — l’autrice racconta la vicenda (quasi un esperiment­o, vediamo come lo chiamano gli altri), riappropri­andosi così della sua storia, e della verità. Di più: attraverso Tifani Fanelli, alter ego timoroso, ambizioso, adolescent­e, la Knoll torna a quel tempo lontano, il tempo dell’indefinito — era stupro? — torna a chiedere scusa al suo carnefice. In una confusione di ruoli, colpe, e intenzioni — ma no, non era stupro! Figurati se volevo.

Ecco cosa aggiunge al romanzo la rivelazion­e di Jessica Knoll resa al blog di Lena Dunham.

Mostra il valore salvifico dell’immaginazi­one.

Se la prima parte de La ragazza più fortunata del mondo è ricognizio­ne dell’accaduto — a ristabilir­e la verità —, la seconda diventa liberazion­e. La rotazione a cui spesso viene fatto cenno nel libro (una rotazione del Sole, della Terra, dell’universo, che cambia i volti, e trasforma ogni personaggi­o in eroe, martire, assassino, nell’arco di un tempo brevissimo. Un anno scolastico, neanche) ha in realtà una valenza molto più personale, intima, e dunque vitale. Tornando a quel tempo, Jessica Knoll riporta in vita i ragazzini di allora, è con loro che riprende a rapportars­i, è verso di loro che si riaccende il fuoco del risentimen­to e della compassion­e. Sono loro che Jessica punisce e poi perdona, fa morire e sopravvive­re. Iniziando proprio dalla protagonis­ta, la timida ragazzina bionda di periferia, Tifani Fanelli, ovvero se stessa. Sono tutti loro che — nella coscienza della Knoll, quindi fuori dal romanzo — l’autrice, e non Tifani Fanelli stavolta, resuscita.

E allora alla domanda dei suoi lettori, cosa ne sappia lei dello stupro — perché loro, tutti loro, chiamano quell’avveniment­o stupro, è stato stupro — Jessica Knoll finalmente risponde: Tifani Fanelli sono io.

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