La donna che ridisegnava il futuro
La prima «Nobel degli architetti» Da Bagdad la sua linea curva ha ridisegnato il mondo (e l’Italia)
Addio a Zaha Hadid, 65 anni, stroncata da un infarto a Miami.
Seduta in mezzo a un gruppo di suoi giovani assistenti, Zaha Hadid scrutava attentamente chiunque attraversasse la hall del Mercer Hotel di Soho, New York: scrutava, parlava sottovoce (un pettegolezzo tra buoni amici), sorrideva. Un’immagine di poco tempo fa che conferma le parole di dolore scelte dallo studio Zaha Hadid Architects (246 dipendenti, 45 tra i più importanti del mondo) per commentare l’improvvisa scomparsa (ieri mattina, a sessantacinque anni, per un infarto, mentre era ricoverata in ospedale di Miami per curarsi una bronchite) della prima donna a conquistare il Pritzker Prize, il Nobel dell’architettura nel 2004. L’unica ad aver conquistato (oltre al Pritzker) anche lo Stirling, la medaglia d’oro del Royal Institute of British Architects, il Praemium Imperiale giapponese.
La «nostra eroina» l’hanno definita: «una donna piacevole, simpatica, che sapeva stare con gli amici e che sapeva però apprezzare il lavoro dei suoi colleghi» (in particolare Holl, Koolhaas, Gehry, Eisenmann). Anche «se la sua sicurezza la faceva apprezzare più dalle persone normali che non dai suoi colleghi, gelosi del suo incredibile talento». Tra i primi messaggi di cordoglio quelli del ministro Dario Franceschini, della presidente della Fondazione Maxxi Giovanna Melandri («Una grande donna forte e innovativa; ci mancheranno il suo estro e il suo genio»); del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca che le aveva commissionato la Stazione Marittima che verrà inaugurata alla fine del mese.
Zaha Hadid era nata a Bagdad nel 1950 da un industriale sunnita tra i leader dell’Iraqi Progressive Party e da una principessa, poi era stata costretta a abbandonare il suo Paese, un Paese a cui era rimasta sempre molto legata ( a lungo aveva conservato — confessava — «una foto della sua scuola vicino al Tigri perché le procurava tenerezza e dolore»). Durante il suo esilio Zaha (donna fisicamente maestosa, grandi occhi profondi, una passione eccezionale per le scarpe) aveva prima studiato matematica all’Università di Beirut, approdando nel 1972 all’Architectural Association di Londra, dove attualmente risiedeva (nel cuore di Clerkenwell) e dove si era laureata nel 1977 aprendo qui il primo nucleo del suo studio nel 1979.
Già nei suoi primi disegni (bellissimi) si ritrovavano le radici del suo lavoro: le linee curve, le citazioni di Paul Klee, del Costruttivismo, del Suprematismo modernizzate dall’uso (fin troppo eccessivo secondo i critici) del rendering, perché «la tecnologia ci permette di superare i limiti della progettazione» (tra i suoi primi lavori il Peak di Hong Kong nel 1983). La svolta definitiva nel 1993 con la Vitra Fire Station di Weil am Rhein in Germania (per molti il suo capolavoro) e il Rosenthal Center for Contemporary Art di Cincinnati (2003). Anche se l’Italia (e non solo) avrebbe imparato a conoscerla con il Maxxi di Roma: un cantiere lunghissimo e costoso che avrebbe però letteralmente recuperato una parte della città (all’inaugurazione Zaha si era presentata vestita con un’incredibile cappa bianca e lunghi guanti luccicanti). Poi sarebbero venuti altri mega progetti (destinati a suscitare comunque polemiche): il Guangzhou Opera House in Cina (2010); il London Aquatics Centre (2011) per i Giochi olimpici; l’Heydar Aliyev Centre di Baku (2013).
Si definiva «ammalata di lavoro» e per questo lamentava «di non avere più tanto tempo per me». Certo è che per qualcuno il lavoro di Zaha Hadid è sembrato (ingiustamente) il simbolo di un’architettura troppo grande per poter diventare realtà («larger than life» è una delle espressioni che i suoi colleghi di studio usano per ricordarla). Basti pensare alle (recenti) polemiche a proposito del cantiere per CityLife a Milano (giunto ormai agli ultimi ritocchi), dello stadio astronave per l’Olimpiade di Tokyo del 2020 (incarico che le era stato revocato) o dello stadio
Genio e polemiche Dal Maxxi di Roma a CityLife a Milano, opere ampie e costose, «larger than life»
dei Mondiali di Calcio del 2022 in Qatar. Ma a questo gigantismo Zaha Hadid (che fra i design italiani amava Mendini, Superstudio e Castiglioni) aveva saputo rispondere con progetti più ridotti ma più armoniosi. Come il sesto Messner Mountain Museum sulla vetta del Plan di Corones (in Val Pusteria), inaugurato lo scorso luglio. O la Stazione Marittima di Salerno, che si aprirà a fine aprile. Un progetto a cui, come sempre, si era dedicata con grande passione e dedizione. E che lei stessa avrebbe dovuto inaugurare.