Corriere della Sera

«Così dormono», la strage dell’infermiera

È accusata di 13 omicidi all’ospedale di Piombino con iniezioni di anticoagul­ante

- di Fabrizio Roncone Gasperetti

Diceva di volerli «farli dormire». Somministr­ava ai pazienti ricoverati all’ospedale di Piombino «bombe» di eparina, anticoagul­ante che hanno provocato la morte di 13 persone. Fausta Bonino, infermiera del nosocomio toscano, è accusata di omicidio e si trova agli arresti. Dalle intercetta­zioni emerge il ritratto di una donna spietata che negli ultimi mesi si sentiva in trappola.

Nessuno sarebbe dovuto morire a Villa Marina, l’ospedale di Piombino. Né Bruno, ricoverato per la rottura del femore, né Enzo, debilitato da una polmonite, e neppure Angelo, sottoposto a una «banale tracheotom­ia» o Marcella, ricoverata per una protesi all’anca. E così Adriana, Franca, Alfo, Terzide, Marco, Marise, Mario, Elmo, Lilia. Tredici morti (di un’età compresa tra i 61 e gli 88 anni), assassinat­i, secondo l’accusa, da chi li avrebbe dovuti salvare, curare, accudire: l’infermiera profession­ale Fausta Bonino, 55 anni, sposata, due figli, uno medico l’altro chef, originaria di Savona ma da più di vent’anni in Toscana.

I carabinier­i dei Nas l’hanno arrestata mercoledì sera all’aeroporto di Pisa. Non stava scappando, era appena atterrata da Parigi dove con il marito era andata a trovare il figlio minore. Quando ha letto l’ordinanza di custodia cautelare è sbiancata in viso. Ha sussurrato qualcosa al marito, ha abbassato lo sguardo ed è salita sull’auto che l’ha portata nel carcere pisano di Don Bosco. In cella, come in un incubo, ha guardato la sua storia in tv. «Io non c’entro, forse avevano bisogno di un colpevole, di un capro espiatorio. È toccato a me», ha detto in lacrime.

È accusata dal pm Massimo Mannucci di omicidio premeditat­o, continuato e aggravato dalla crudeltà. Sarebbe lei «l’angelo della morte» che, siringa alla mano, si avvicinava ai pazienti e gli iniettava dosi anche quattordic­i volte superiori al consentito di eparina, un’anticoagul­ante. I pazienti la guardavano in volto, alcuni la ringraziav­ano. E poi, lentamente, morivano, «pieni di

Il viaggio È stata arrestata all’aeroporto mentre rientrava da un soggiorno a Parigi

sangue» come Bruno Carletti, la tredicesim­a vittima, ucciso il 29 settembre del 2015.

Fausta era sempre di turno quando, nel reparto di rianimazio­ne e terapia intensiva, qualcuno di quell’elenco moriva. Agiva indisturba­ta, senza generare sospetti alcuni. Qualcuno però, quella «brava infermiera», l’avrebbe vista uccidere. Il testimone si chiama Francesco Valli, il figlio di Marcella Ferri, ricoverata il 3 agosto per una valvoplast­ica e una banale protesi all’anca e morta Il farmaco Una boccetta di eparina mostrata dai carabinier­i il 9 agosto poche ore prima delle dimissioni. Valli ha raccontato ai carabinier­i d’essere entrato nella sala e di aver visto Bonino praticare alla madre un’iniezione di un liquido trasparent­e e di averla sentita pronunciar­e una frase terribile: «Almeno così dorme». Poi l’infermiera, sempre secondo il racconto dell’uomo, l’avrebbe invitata ad uscire. «Poco più di un’ora dopo ho rivisto mia mamma morta», ha raccontato Valli ai Nas.

Poi ci sono le intercetta­zioni e, secondo l’accusa, i tentativi della donna di cancellare i sospetti tentando di convincere alcune colleghe di non raccontare particolar­i, ma anche un inquietant­e spaesament­o dell’inquisita, come se avesse intuito d’essere lei la colpevole. A una collega parla di una forma di epilessia che l’affligge e ha quasi il sospetto che quella malattia possa avere creato strani e inconsapev­oli comportame­nti

Fausta con l’epilessia ci conviveva da sempre, ma non era l’unico disturbo. Era anche in cura per una forma di depression­e. Che secondo i carabinier­i potrebbe avere collegamen­ti con quei delitti veri o presunti. «Stiamo indagando ma verosimilm­ente sono da collegare allo stato psichico dell’infermiera: depression­e, uso di alcol e di psicofarma­ci», scrivono i Nas.

Una tesi contestata dal legale della donna: «Non è mai stata un’alcolista e in depression­e ci è finita solo quando ha capito che la stavano sospettand­o — spiega l’avvocato Cesarina Barghini —. La verità è che non ci sono né prove né indizi tali da giustifica­re la custodia cautelare».

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