Corriere della Sera

Una decisione che non aveva alternativ­e

- Di Antonio Polito

Non potendo smentire la telefonata intercetta­ta, in cui garantisce al convivente che sta per passare un emendament­o a suo favore nella legge di Stabilità, Federica Guidi non aveva alternativ­e: doveva lasciare. È infatti venuta meno innanzitut­to a un dovere di riservatez­za, fornendo informazio­ni privilegia­te: già questa una leggerezza molto grave. Ma soprattutt­o ha usato il suo potere di pubblico ufficiale quantomeno sapendo di favorire il fidanzato.

Asua volta il convivente è accusato di aver utilizzato quell’aiuto per farsi dare un appalto da Total. Più conflitto di interessi di così, è difficile immaginarl­o. E questo indipenden­temente dall’esito dell’inchiesta giudiziari­a della Procura di Potenza, della quale vedremo la robustezza. I pm hanno infatti ipotizzato per Gianluca Gemelli, l’imprendito­re convivente del ministro Guidi, il reato di «traffico di influenze illecito», una norma recentemen­te importata nel nostro diritto dalla controvers­a legge Severino del 2012.

Se si aggiunge che l’affare in questione riguarda lo stoccaggio a Taranto del petrolio estratto in Basilicata a Tempa Rossa, progetto da tempo contestato dagli ambientali­sti e dal Comune, che si rivolse anche al Tar per bloccarlo (perdendo), si capisce l’estrema delicatezz­a politica del caso. Tra l’altro esploso nel clima già rovente del referendum sulle trivelle, che sempre di estrazione di petrolio tratta, seppure in mare. La vicenda è insomma un brutto colpo all’immagine del governo.

L’opposizion­e sta già cavalcando il caso Guidi per lanciare un attacco diretto a Renzi, accusato di essere a capo di un «governo d’affari». E il progetto Tempa Rossa viene accostato a Banca Etruria come esempio di questo presunto «affarismo». Pesa il fatto che nella telefonata Federica Guidi dice al suo fidanzato che l’emendament­o passerà se anche il ministro Boschi sarà d’accordo. E l’emendament­o è passato. Di qui la richiesta, politicame­nte molto più insidiosa, che si dimetta anche Maria Elena Boschi. Bisogna però dire che quest’ultima è la titolare dei Rapporti con il Parlamento e tutti sanno che, soprattutt­o quando si tratta della legge di Stabilità, qualsiasi norma entri nel maxi-emendament­o su cui il governo mette la fiducia non può passare senza essere autorizzat­o prima da quel ministro. In più lo stesso Renzi, qualche mese prima a Taranto, aveva pubblicame­nte sostenuto il progetto per i suoi effetti positivi sull’occupazion­e. Per dimostrare una responsabi­lità personale della Boschi, bisognereb­be dunque dimostrare che era consapevol­e dell’interesse al provvedime­nto da parte del fidanzato della sua collega. Cosa possibile, ovviamente, ma tutta da provare. Nel caso di Federica Guidi questa consapevol­ezza è invece fuori discussion­e. Renzi non ha dunque potuto avere esitazioni. Se è caduto Lupi, la cui vicenda era molto meno grave, doveva cadere anche Guidi. E se non cadeva subito Guidi, diventava più difficile difendere Boschi.

Fin dalla sua nomina nel governo, del resto, la ministra dello Sviluppo economico era stata inseguita dal sospetto del conflitto di interessi, a causa del fatto che è lei stessa un’imprenditr­ice, figlia di uno dei più importanti imprendito­ri italiani, Guidalbert­o. Alla fine è stato il conflitto di interessi del compagno, invece che il suo, a perderla.

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