L’inchiesta nata in una notte da 2 scommesse investigative
Dodici ore. Una notte. E due scommesse investigative. Così è nata l’inchiesta sulla «coppia dell’acido», che 15 mesi dopo s’è chiusa con tre sentenze di condanna (primo grado). Non era facile, alle 23 del 28 dicembre 2014, 5 ore dopo l’aggressione a Pietro Barbini, andare ad arrestare a casa la ragazza che all’epoca era solo una studentessa modello della Bocconi, Martina Levato. Invece i poliziotti dell’Ufficio prevenzione generale della polizia, guidati da Maria José Falcicchia, fanno la prima «scommessa»: hanno un uomo (Alexander Boettcher) arrestato in flagranza, ma non sanno ancora bene chi sia. In questura, ascoltano il padre di Pietro (che riconosce Martina); scaricano subito le chat dal telefono dello studente; c’è una conversazione piuttosto dura con la ragazza. La arrestano, con il sostituto commissario Mauro Antignano: la mattina dopo, il pm Marcello Musso la porta in direttissima, e lei confessa. Prima scommessa vinta. Ma i poliziotti ne fanno una seconda, decisiva: a Milano ci sono due casi irrisolti di aggressioni con acido. In casa di Boettcher, quella notte, trovano altro acido. L’intuito dice: sono stati loro, anche in passato. Poco dopo, convocano un amico dei due: Andrea Magnani. Ha le mani ustionate. Fotografano le ferite. Si cristallizza lì la posizione del «terzo uomo», che entrerà poi nell’associazione a delinquere. E che qualche settimana dopo crollerà, confessando col procuratore Alberto Nobili la catena di aggressioni. Nel frattempo la squadra della polizia, con i funzionari Giorgia Iafrate e Giuseppe Valerio, lavora su decine di testimoni e migliaia tabulati telefonici. Uno scavo a ritroso. Si costruisce così una complessa rete di riscontri: gli agguati con l’acido erano seriali. Le condanne lo hanno confermato. L’inchiesta è durata mesi. Ed è stata portata avanti senza neppure un’intercettazione telefonica.