Quei biscotti ai datteri di chef Mouzawak che sanno unire il Libano
Per il cuoco di Beirut, titolare di un locale, un mercato e uno show tv, la cucina è il vero collante del Paese
uesto film? L’abbiamo girato per noi, con il piacere di andare a zonzo nella California dei vini e dei grandi scrittori». Alexander Payne è il regista di «Sideways», l’addio al celibato on the road di due amici, l’intellettuale pessimista Miles, cultore del Pinot noir, e l’esuberante palestrato Jack, uomo da Cabernet Sauvignon. Quando il film uscì, nel 2004, le vendite del Pinot noir negli Stati Uniti superarono ogni record e la California venne invasa da carovane di enoturisti. «Peccato, questo film avremmo potuto farlo noi, in Toscana, Piemonte o Sicilia», commentò Tiziana Frescobaldi, della famiglia che si occupa di vino da sei secoli.
Dodici anni dopo potrebbe materializzarsi una versione italiana di «Sideways». L’artefice è Paolo Damilano, alla guida della cantina di La Morra con il fratello Mario e il cugino Guido. È uno dei 101 produttori selezionato per OperaWine, l’evento che sabato 9 aprile aprirà il Vinitaly di Verona. È anche il presidente di Film Commission Torino Piemonte (e del Museo nazionale del cinema), la fondazione che ha portato nella regione più di 900 set (dal «Divo» di Sorrentino a «La Corrispondenza» di Tornatore) grazie a incentivi e sconti fiscali. «Abbiamo l’idea di acquistare i diritti per la versione europea di “Sideways” — annuncia Damilano — abbiamo n Libano ci sono diverse religioni e idee politiche, ma c’è una cosa che ci accomuna tutti: abbiamo la stessa agricoltura, cuciniamo e mangiamo le stesse cose». Kamal Mouzawak, 47 anni, è uno chef, uno scrittore, una personalità televisiva, ed è il creatore di Souk El Tayeb, il mercato degli agricoltori che prende vita ogni sabato a Beirut: un modo per tenere in vita il legame tra i consumatori e i produttori e, con esso, le tradizioni culinarie che uniscono i libanesi. Un esempio? I mamoul, biscotti ripieni di datteri o di noci che vengono mangiati sia dai cristiani a Pasqua che dai Protagonisti Da sinistra, Guido, Mario e Paolo Damilano. Quest’ultimo è alla guida della cantina di La Morra (Cuneo), presidente di Film Commission Torino Piemonte e del Museo nazionale del cinema avuto contatti con una possibile produzione italo-cinese. Stiamo progettando anche una fiction tv che descriva le Langhe».
Damilano racconta il progetto mentre a tavola, da Cracco, arriva un trancio di manzo giapponese da abbinare con l’ultimo nato tra i Barolo dell’azienda: è il 1752, una Riserva dalla collina di Cannubi, la zona più contesa delle Langhe. Annata 2008, quindi 7 anni di affinamento in botte da 50 ettolitri e in bottiglia. L’uva viene da 2 dei 10 ettari tra proprietà e gestione di Damilano, con vigne che hanno fino a mezzo secolo di vita. La cantina nasce nel 1890, con il bisnonno Giuseppe Borgogno. «Poi toccò al nonno Giacomo — racconta Damilano — e a mio padre. Ho seguito i loro due insegnamenti. Il primo (del nonno): imparate l’inglese e girate il mondo. Il secondo (del papà): musulmani per Eid El Kebir, la festa che segna la fine del pellegrinaggio alla Mecca. Presso il Souk El Tayeb sono in vendita tutto l’anno.
Mouzawak sarà a Firenze giovedì 7 aprile insieme a una delle sue cuoche, Nada Saber, per una cena speciale al Teatro del Sale con lo chef Fabio Picchi: un menù libanese cucinato con prodotti toscani, un esempio di integrazione che parte dalla cucina nell’ambito del festival « Middle East Now». Il 9 aprile, poi, terrà una lezione di cucina sui segreti del tabbouleh, la tradizionale insalata a base di bulgur con prezzemolo, cipollotti e menta tritati e con pomodoro e cetrioli vendere un terreno e una proprietà è sempre sbagliato, anche quando ti riempiono di soldi».
Nel 1997 Paolo ha preso il comando con fratello e cugino. «Avevamo tutte barrique, erano gli anni dei Barolo Boys. Non mi convinceva e siamo gradualmente tornati alle botti grandi. Gli ettari sono diventati 53, vendiamo il 60% negli Stati Uniti (oltre a Barolo, Arneis, Barbera e Moscato d’Asti)». Ora la «sfida meravigliosa», come la chiama Damilano, è con il Riserva, che prende il nome dall’anno in cui fu trovata la prima bottiglia Damilano, produttore di Barolo, sta pensando anche a una fiction televisiva sulle Langhe con Cannubi nell’etichetta. Sfida resa possibile dall’acqua: i Damilano da mezzo secolo producono minerale con l’azienda Pontevecchio e sei differenti marchi. «Siamo in questo settore da 45 anni — racconta Paolo Damilano — ma la vera svolta è arrivata dopo il disastro di Cernobyl, quando il consumo di acqua minerale in Italia ha iniziato a salire decisamente. Ora produciamo 400 milioni di bottiglie d’acqua, la più leggera d’Italia». Un giro d’affari da 45 milioni l’anno (contro i 3,5 milioni con il vino) che ha permesso di finanziare gli alti costi della Riserva 1752. Un vino speziato e intenso, che ha il potere magico di far ricordare, come si sente in Sideways, che «il vino è un essere vivente che evolve e acquista complessità fino al suo apice».
@CorriereDiVini
All’opera Kamal Mouzawak al ristorante Tawlet a tocchetti. «Ma non sono qui per insegnarvi una ricetta, questo è un modo per raccontare il Libano», spiega.
Cresciuto in una famiglia di agricoltori a Jeita, 25 chilometri a nord di Beirut, ha studiato da graphic designer: la decisione di occuparsi di cucina è nata dopo aver girato il Paese per scrivere una guida turistica. Le famiglie lo invitavano in casa, l’accoglienza era più forte delle fratture. Ha cominciato ad apparire in tv nello show «Sohtak bil Sahenn» (La tua salute nel tuo piatto), ha aperto la sua scuola di cucina e nel 2004 è nato il Souk El Tayeb. Il primo evento politico ha visto gli agricoltori distribuire volantini in Piazza dei Martiri il 13 aprile 2015, per l’anniversario della guerra civile in Libano. Nel 2007 è nato il ristorante Tawlet, dove si alternano ai fornelli mamme e nonne libanesi per far conoscere le specialità regionali. Senza ignorare ciò che accade nella vicina Siria in guerra: Mouzawak ha lanciato un progetto per far sì che le donne nei campi profughi possano cucinare il cibo anziché riceverlo pronto. Per guadagnare qualcosa e per tenere viva la cultura: «In quelle condizioni non lo possono fare in altro modo, resta solo la cucina».