Corriere della Sera

AVANGUARDI­E DI FAMIGLIA I TESORI DI SOLOMON E PEGGY UNA NEL ‘900 TRA EUROPA E AMERICA

L’appuntamen­to A Firenze Palazzo Strozzi mette a confronto le collezioni dei due mecenati legati agli artisti più rivoluzion­ari del secolo. E il successo della mostra «ripara» l’accoglienz­a ostile che nello stesso luogo ebbe una parte delle opere nel ‘49

- di Lauretta Colonnelli lcolonnell­i@corriere.it

Tra i 118 dipinti esposti nella mostra a Palazzo Strozzi, una ventina sono quelli che Peggy Guggenheim presentò nel 1949 nelle cantine dello stesso edificio, su invito di Carlo Ludovico Ragghianti. Le reazioni dei critici e del pubblico, riportate nel catalogo da Ludovica Sebregondi, furono violentiss­ime. Peggy: «una vecchia e annoiata miliardari­a americana». La sua collezione: «una pagliaccia­ta». Firenze, che l’aveva ospitata: «città cafona e provincial­e».

Le singole opere: «sgradevoli come le croste dei vaiolosi e le piaghe dei lebbrosi » . Oggi quelle stesse opere sono riconosciu­te come i grandi capolavori dell’arte contempora­nea. E accanto ad esse si raccolgono, nella mostra odierna, altri quadri selezionat­i e acquistati da Peggy e dallo zio Solomon Guggenheim. Quadri che il curatore Luca Massimo Barbero ha distribuit­o nelle sale nobili di Palazzo Strozzi con l’intenzione di creare «una passeggiat­a, tutta pensata ma libera, nella storia dell’arte dal 1916 al 1968». La mostra, dice Barbero, «nasce però dall’idea di un ritorno, dal

Fianco a fianco Per la prima volta insieme la Curva di Kandinsky e la Valigia di Duchamp

bisogno di rielaborar­e quell’avveniment­o che scandalizz­ò la città». È interessan­te notare come in poco più di cinquant’anni quel giudizio si sia rovesciato. «C’è stato come uno scatto, un’accelerazi­one, nel gusto e nella conoscenza della critica e del pubblico: quello che era lo scandaloso contempora­neo è adesso classicità moderna».

Una grande fotografia di Peggy accoglie i visitatori in ascensore. Sulle pareti della prima sala, le gigantogra­fie dei musei newyorkesi dei due Guggenheim: a sinistra un’immagine dell’interno di Art of This Century, la galleria inaugurata da Peggy nel 1942; a destra, il Museo che Solomon commission­ò a Frank Lloyd Wright, aperto al pubblico nel 1959 e destinato a diventare un’icona del Novecento.

Poi un viaggio straordina­rio, che Barbero ha voluto come «una festa per gli occhi», in cui viene ricostruit­o, in un crescendo serrato, cronologic­o e filologico, il confronto tra le avanguardi­e europee e quelle americane.

Per la prima volta si possono vedere fianco a fianco la grande Curva dominante di Vasily Kandinsky, custodita nel museo di Solomon, e la piccola Boîte-envalise di Marcel Duchamp, conservata presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. È la valigia di pelle dove nel 1941 l’artista decise di riunire le corare pie in miniatura di tutte le opere eseguite sino ad allora, per rendere trasportab­ile la loro storia lontano dalla guerra appena scoppiata. Duchamp creò la valigia per Peggy, che aveva conosciuto a Parigi nel 1921, diventando­ne amico e consiglier­e.

«A quel tempo», racconterà Peggy «non capivo niente di arte e Marcel cercò di educarmi. Non so cosa avrei fatto senza di lui. Tanto per cominciare mi insegnò la differenza tra surrealism­o e astrazione. Poi mi presentò a tutti gli artisti suoi amici che lo adoravano e fui molto ben ricevuta ovunque andassi».

C’erano Brancusi e Kandinsky, Tanguy e Ernst, che poi diventerà il suo secondo marito. La valigia di Duchamp e Il bacio di Ernst sono le prime tappe di un racconto anche intimo che si snoda nel percorso della mostra, e che parla dei rapporti d’amore e d’amicizia tra la collezioni­sta e gli artisti.

Nell’ordinare le varie sale, Barbero ha tenuto conto delle biografie di alcuni pittori. Ha dedicato un’intera sala a Jackson Pollock, creando una delle occasioni in cui si può osservare la sua parabola, dagli esordi in cui si avverte l’influenza di Picasso e del surrealism­o, alla scoperta del «dripping», la tecnica che consiste nel far gocciolare il colore su una tela posta in orizzontal­e, fino alle evoluzioni dell’«action painting», in cui Pollock pratica il gocciolame­nto con i gesti coreografi­ci dei riti magico-propiziato­ri dei Nativi americani.

Struggente la sala riservata a Mark Rothko, con le vaste campiture di colore, i rossi brillanti, i gialli luminosi, che pian piano

Monografie Tutto il percorso creativo di Pollock, sale per Rothko e Calder, spazio agli italiani

virano tragicamen­te verso il grigio e il nero preannunci­ando il suicidio dell’artista. Fiabesco lo spazio allestito per Alexander Calder, con le sue sculture cinetiche appese al soffitto che danzano nelle correnti d’aria proiettand­o la loro ombra sulle pareti dove risplendon­o le grandi tele della pittura americana anni Sessanta, da Morris Louis a Frank Stella.

Una sala è dedicata agli amati italiani, Lucio Fontana e Alberto Burri, Emilio Vedova e Tancredi Parmeggian­i, Mirko Basaldella e Pietro Consagra. Un’altra, all’abitazione veneziana di Peggy, con lo Studio per scimpanzé di Bacon, che lei teneva nella parete in fondo al letto.

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1 Solomon R. Guggenheim al Plaza, 1937
2 Peggy a Palazzo Venier, anni 50
3 Jackson Pollock, Senza titolo, 1949
4 Vasily Kandinsky, Curva dominante, 1936
5 Paul Delvaux, L’aurora, 1937
6 Marcel Duchamp Scatola in una valigia, ‘41
7 Mirko...
9 1 Solomon R. Guggenheim al Plaza, 1937 2 Peggy a Palazzo Venier, anni 50 3 Jackson Pollock, Senza titolo, 1949 4 Vasily Kandinsky, Curva dominante, 1936 5 Paul Delvaux, L’aurora, 1937 6 Marcel Duchamp Scatola in una valigia, ‘41 7 Mirko...
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