Corriere della Sera

Sofferenze e banche La svolta del sistema

L’operazione mista con Cdp avrebbe una prima apertura dell’Europa. Gli effetti sulle operazioni della Vicenza e di Veneto Banca

- Federico Fubini

All’inizio della settimana scorsa, il governo italiano ha scelto una strategia che varie volte in precedenza era stato accusato di non aver perseguito: il gioco d’anticipo. A Bruxelles, i suoi emissari hanno presentato alla Commission­e europea la struttura dell’operazione poi lanciata ieri sera. Sia agli uomini del presidente della Commission­e Ue Jean-Claude Juncker, che a quelli del commissari­o alla Concorrenz­a Margrethe Vestager. I negoziator­i di Roma hanno spiegato nei dettagli il progetto di infondere capitali privati e della Cassa depositi e prestiti in una società-veicolo pronta a comprare azioni di banche in difficoltà o crediti in default.

L’obiettivo intermedio è garantire che vadano in porto gli aumenti di capitale della Popolare di Vicenza, di Veneto Banca e del Banco Popolare (in vista della fusione di quest’ultimo con la Banca popolare di Milano). Ma l’obiettivo di fondo è, se possibile, più delicato: asportare dal Monte dei Paschi di Siena parte dei prestiti sprofondat­i in sofferenza, senza obbligare Siena a dissanguar­si in nuove violente svalutazio­ni.

Gli emissari italiani hanno spiegato che le risorse per questa operazione sarebbero arrivati dal mercato: le grandi banche, varie compagnie assicurati­ve, le fondazioni, mentre per gli acquisti dei crediti in default anche alcuni fondi esteri hanno espresso interesse a partecipar­e nel veicolo. Tutto sarebbe stato costruito in modo da evitare la contestazi­one di un aiuto di Stato, che porterebbe a falcidiare investitor­i e risparmiat­ori e farebbe saltare l’intero progetto. Il governo sarebbe rimasto fuori dalla società — è stato spiegato a Bruxelles — mentre il contributo di ciascun partecipan­te sarebbe stato volontario nella scelta di esserci e libero nelle somme versate. Non ci sarebbe stata ripartizio­ne prefissata degli oneri.

La risposta europea, per il momento: andate avanti. Juncker non ha alcun desiderio di esacerbare la crisi bancaria italiana, i funzionari di Vestager non trovano appigli giuridici per farlo.

Almeno per adesso dunque, in attesa dei dettagli, sembra dunque procedere senza intoppi a Bruxelles il progetto di sostenere le banche italiane più fragili. Avanza anche se il valore al quale la società-veicolo potrebbe acquistare i crediti di Mps sarà più alto di quello che oggi sono pronti a riconoscer­e i fondi speculativ­i specialist­i nel mestiere. Questi ultimi puntano a comprare i crediti inesigibil­i di Mps (e degli altri istituti) in media al 20% circa del valore originario dei prestiti. Se per ipotesi Siena cedesse per intero la sua massa da 46 miliardi di crediti deteriorat­i a queste condizioni, il patrimonio della banca finirebbe spazzato via. Il veicolo in formazione cerca di mitigare questo problema: dovrebbe comprare a prezzi più alti, potenzialm­ente guadagnand­o meno o rischiando di più, in modo tale da evitare a Mps nuove perdite insostenib­ili. Ma questa sarà una società di gestione del risparmio, dunque ha tasche pazienti; non ha obblighi di aggiornare continuame­nte il valore del suo bilancio, né vincoli di capitale. D’altra parte aiuteranno anche le misure del governo in arrivo sui tempi di presa di possesso degli immobili a garanzia dei prestiti: dei pignoramen­ti più rapidi fanno salire il valore dei crediti, sostenendo i bilanci degli istituti e quello della nuova società-veicolo.

È presto per capire se il nuovo approccio basterà a stabilizza­re il sistema finanziari­o in Italia. Ma probabilme­nte non si sarebbe arrivati questa accelerazi­one se gli istituti non fossero stati messi spalle al muro dalla Banca centrale europea. L’intransige­nza di Francofort­e nel vigilare sulle aziende di credito in Italia spesso è stata fuori proporzion­e, specie mentre verso banche tedesche la Bce chiudeva entrambi gli occhi. La stessa rigidità della Commission­e Ue durante il fallimento di quattro piccole banche, a novembre scorso, è stata discutibil­e.

Parte del risultato però è evidente in questi giorni: una netta risposta del sistema finanziari­o in Italia, proprio come Maastricht obbligò i governi di Roma degli anni 90 ad affrontare il loro deficit fuori controllo. Altamente imperfetto, spesso senza logiche precise, il vincolo europeo continua a funzionare in Italia. Specie quando la obbliga a fare i conti con problemi troppo a lungo spazzati sotto il tappeto.

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