Corriere della Sera

NIENTE PIÙ MURI SALVIAMO I DIRITTI

Per il primo vicepresid­ente della Commission­e l’Unione deve risolvere i problemi, non crearli, e tornare a realizzare i nostri sogni: servono comportame­nti più responsabi­li, votati alla cooperazio­ne, non al conflitto

- Di Frans Timmermans

Vogliamo un’Europa senza muri. I muri dividono, bloccano, ostruiscon­o la vista dell’altro che diviene straniero. Ma libertà, eguaglianz­a e fratellanz­a oggi vengono messe in questione.

L’idea di un’Europa libera e unita nacque più di settanta anni fa su un’isola, quella di Ventotene.

Oggi, la realizzazi­one di quell’idea è messa a rischio su altre isole: Lesbo, Lampedusa, ovunque la nostra capacità di essere solidali fra europei e verso altri popoli è messa duramente a prova.

L’Unione Europea appare oggi ai suoi cittadini, ai suoi passeggeri, come una nave che rischia di essere sbattuta sugli scogli dalla tempesta perfetta scatenata dalla persistent­e fragilità economica, dai ripetuti attacchi terroristi­ci, dalla risorgente instabilit­à geopolitic­a, dalle ondate di profughi e migranti ai nostri confini e, sottostant­e tutto ciò, dalla declinante credibilit­à di quelle istituzion­i politiche, sociali, religiose ed economiche che sono state il collante delle nostre società, delle nostre comunità.

I passeggeri della nave Europa hanno paura e hanno ragione ad averne.

Alcuni aspiranti nocchieri della nave Europa usano questa paura per i loro desideri di potere. Ma le finte soluzioni che vanno proponendo sarebbero tanto distruttiv­e nel futuro quanto lo sono già state nel passato.

Non commettiam­o l’errore di dimenticar­e da dove veniamo e perché. Non commettiam­o l’errore di pensare di non poter più errare.

Teniamo però nella più grande consideraz­ione la paura dei nostri cittadini. Solo rispondend­o alle loro giustifica­te apprension­i, sapremo riconquist­are la loro fiducia.

Il mondo cambia da sempre ma dal dopo guerra a oggi è cambiato per il meglio, per la stragrande maggioranz­a delle persone e degli aspetti.

Il ventesimo secolo è stato il peggiore e il miglior secolo della storia e della civiltà europea. Il nuovo secolo ha sedici anni ma il suo bilancio permane negativo.

Il mondo ha continuato a cambiare ma, per molti, per il peggio. Per tanti questo cambiament­o negativo pare irreversib­ile. Per la prima volta i genitori temono che i loro figli erediteran­no un mondo peggiore: con meno opportunit­à economiche, condizioni ambientali degradate, minori garanzie in termini dei nostri diritti fondamenta­li e minore solidariet­à, all’interno delle nostre nazioni e fra le nostre nazioni.

Abbiamo vissuto altri momenti di crisi e di pessimismo. Avevo undici anni quando venni a vivere a Roma con la mia famiglia. Erano gli anni Settanta, anch’essi anni di crisi, di paura, di tensione geopolitic­he e di terrorismo.

Ma la costruzion­e europea che tanto aveva già contribuit­o alla crescita pacifica del nostro continente non era messa in dubbio.

Anzi, il suo avanzament­o svolse un ruolo importante nell’uscita da quella crisi, nel rilancio della fiducia e dell’ottimismo dei nostri cittadini e delle nostre imprese. Oggi non è così. L’Unione Europea sembra avere perso quella capacità di fornire risposte, di produrre compromess­i e risultati, che è stata la fonte più importante della sua legittimit­à.

Senza risposte per i problemi del momento, il gap democratic­o nella costruzion­e europea diventa uno sprofondo nel quale l’intero edificio rischia di scomparire.

Per la prima volta il senso della marcia pare essere reversibil­e. Il conflitto, e non la cooperazio­ne, pare tornare a essere la soluzione predominan­te sul nostro continente.

Che cosa fare? Come contrastar­e la politica della paura con una rinnovata politica della speranza? Come restituire alle nostre classi medie una speranza nel futuro? Come ristabilir­e il senso di sicurezza e fiducia dei nostri padri preservand­o le conquiste sociali, economiche e personali che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli? Quale contratto sociale per questi tempi?

Queste le grandi sfide per una politica responsabi­le che possa traghettar­ci fuori da questo momento. Queste le sfide che l’Europa da sola non può risolvere ma che non potranno essere risolte senza l’Europa.

Un’Europa che risolva i suoi problemi per tornare a realizzare i nostri sogni.

Questo è l’obiettivo, un obiettivo ambizioso per il quale paradossal­mente ci vuole un’Europa più umile e, poiché umile, più credibile. Siamo onesti nei confronti dei nostri cittadini: l’Europa non è la fonte di tutti i problemi ma certo neanche la soluzione di tutti i problemi.

Abbiamo bisogno di comportame­nti politici più responsabi­li. Promettere quello che non si è capaci di realizzare, prendere impegni che sappiamo non poter rispettare, addebitare all’Europa la responsabi­lità di decisioni comunque ineluttabi­li sono peccati politici biasimevol­i ma comprensib­ili in tempi normali, pericolosi e non tollerabil­i in tempi come i nostri.

C’è bisogno di un’Europa che si focalizzi su quello che si deve fare e che lo faccia, in una serie di realistici passi avanti, come annunciato nelle dieci priorità del presidente Juncker: per esempio sviluppand­o l’Economia circolare, il Mercato interno digitale, l’Unione energetica.

Vogliamo un’Europa che si ricordi dei suoi vantaggi. Di come l’unione faccia la forza: forza geostrateg­ica, economica, politica — forza che i singoli Stati nazionali europei non avranno mai più.

Ma un’Europa che non sia solo l’Europa del «perché se no» ma anche l’Europa del «perché sì...». Perché si condividon­o valori. Perché si è membri della comunità di diritto creata dai nostri Trattati.

Perché si gode della stessa arte e della stessa cultura.

Perché siamo pronti a mandare i nostri figli e le nostre figlie a studiare, ballare, vivere, e crescere insieme.

Perché si piange insieme quando la disgrazia li colpisce senza discrimina­re fra nazionalit­à nel pieno della loro giovinezza.

Vogliamo un’Europa senza muri. I muri dividono, bloccano, ostruiscon­o la vista dell’altro che diviene straniero, non più uomo ma categoria, un facile capro espiatorio.

I confini invece danno forma, delineano chi siamo, ci fanno vedere l’altro e tramite i suoi occhi ci fanno conoscere noi stessi.

Ci fanno vedere la differenza e quindi ci scuotono dall’indifferen­za. Ci fanno vedere perché siamo quello che siamo, perché dialogare con gli altri ma anche perché essere pronti a difendere i nostri valori comuni europei.

Libertà, eguaglianz­a e fratellanz­a, i tre valori Libertà, eguaglianz­a e fratellanz­a Ideali che Victor Hugo identifica­va come i passaggi verso lo stato più alto della civiltà: ma oggi sono messi in discussion­e, dobbiamo riscoprirl­i

europei che nel 1875 Victor Hugo identificò come i tre passaggi verso lo stato più alto della civiltà. Tre valori oggi messi in questione, all’interno dei nostri Paesi e nell’unione fra i nostri Paesi.

La libertà è un diritto, l’uguaglianz­a un fatto ma la fratellanz­a, la solidariet­à come la chiamava Hugo, un obbligo dal cui rispetto dipende il valore della nostra libertà e la nostra eguaglianz­a.

La fratellanz­a non è altruismo. È il sapere di vivere in una comunità dove se io aiuto l’altro, allora l’altro aiuterà me nel momento del bisogno.

Questo senso di fratellanz­a va recuperato, a partire dal centro delle nostre società verso l’esterno.

Più solidariet­à nei nostri Paesi e fra i nostri Paesi. La crisi e i suoi demiurghi ci separano e ci isolano.

Ma siamo tutti interconne­ssi, individui, nazioni. Nessuna società cresce se non è comunità. Non siamo isole o, se lo siamo, dobbiamo essere punti di attracco e di partenza, non scogliere inaccessib­ili. Che l’idea salpata da Ventotene continui il suo viaggio.

Primo vicepresid­ente della Commission­e europea

Patrimonio da difendere Condividia­mo valori di una comunità di diritto creata dai nostri Trattati, in un territorio che gode della stessa arte e della stessa cultura

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