NIENTE PIÙ MURI SALVIAMO I DIRITTI
Per il primo vicepresidente della Commissione l’Unione deve risolvere i problemi, non crearli, e tornare a realizzare i nostri sogni: servono comportamenti più responsabili, votati alla cooperazione, non al conflitto
Vogliamo un’Europa senza muri. I muri dividono, bloccano, ostruiscono la vista dell’altro che diviene straniero. Ma libertà, eguaglianza e fratellanza oggi vengono messe in questione.
L’idea di un’Europa libera e unita nacque più di settanta anni fa su un’isola, quella di Ventotene.
Oggi, la realizzazione di quell’idea è messa a rischio su altre isole: Lesbo, Lampedusa, ovunque la nostra capacità di essere solidali fra europei e verso altri popoli è messa duramente a prova.
L’Unione Europea appare oggi ai suoi cittadini, ai suoi passeggeri, come una nave che rischia di essere sbattuta sugli scogli dalla tempesta perfetta scatenata dalla persistente fragilità economica, dai ripetuti attacchi terroristici, dalla risorgente instabilità geopolitica, dalle ondate di profughi e migranti ai nostri confini e, sottostante tutto ciò, dalla declinante credibilità di quelle istituzioni politiche, sociali, religiose ed economiche che sono state il collante delle nostre società, delle nostre comunità.
I passeggeri della nave Europa hanno paura e hanno ragione ad averne.
Alcuni aspiranti nocchieri della nave Europa usano questa paura per i loro desideri di potere. Ma le finte soluzioni che vanno proponendo sarebbero tanto distruttive nel futuro quanto lo sono già state nel passato.
Non commettiamo l’errore di dimenticare da dove veniamo e perché. Non commettiamo l’errore di pensare di non poter più errare.
Teniamo però nella più grande considerazione la paura dei nostri cittadini. Solo rispondendo alle loro giustificate apprensioni, sapremo riconquistare la loro fiducia.
Il mondo cambia da sempre ma dal dopo guerra a oggi è cambiato per il meglio, per la stragrande maggioranza delle persone e degli aspetti.
Il ventesimo secolo è stato il peggiore e il miglior secolo della storia e della civiltà europea. Il nuovo secolo ha sedici anni ma il suo bilancio permane negativo.
Il mondo ha continuato a cambiare ma, per molti, per il peggio. Per tanti questo cambiamento negativo pare irreversibile. Per la prima volta i genitori temono che i loro figli erediteranno un mondo peggiore: con meno opportunità economiche, condizioni ambientali degradate, minori garanzie in termini dei nostri diritti fondamentali e minore solidarietà, all’interno delle nostre nazioni e fra le nostre nazioni.
Abbiamo vissuto altri momenti di crisi e di pessimismo. Avevo undici anni quando venni a vivere a Roma con la mia famiglia. Erano gli anni Settanta, anch’essi anni di crisi, di paura, di tensione geopolitiche e di terrorismo.
Ma la costruzione europea che tanto aveva già contribuito alla crescita pacifica del nostro continente non era messa in dubbio.
Anzi, il suo avanzamento svolse un ruolo importante nell’uscita da quella crisi, nel rilancio della fiducia e dell’ottimismo dei nostri cittadini e delle nostre imprese. Oggi non è così. L’Unione Europea sembra avere perso quella capacità di fornire risposte, di produrre compromessi e risultati, che è stata la fonte più importante della sua legittimità.
Senza risposte per i problemi del momento, il gap democratico nella costruzione europea diventa uno sprofondo nel quale l’intero edificio rischia di scomparire.
Per la prima volta il senso della marcia pare essere reversibile. Il conflitto, e non la cooperazione, pare tornare a essere la soluzione predominante sul nostro continente.
Che cosa fare? Come contrastare la politica della paura con una rinnovata politica della speranza? Come restituire alle nostre classi medie una speranza nel futuro? Come ristabilire il senso di sicurezza e fiducia dei nostri padri preservando le conquiste sociali, economiche e personali che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli? Quale contratto sociale per questi tempi?
Queste le grandi sfide per una politica responsabile che possa traghettarci fuori da questo momento. Queste le sfide che l’Europa da sola non può risolvere ma che non potranno essere risolte senza l’Europa.
Un’Europa che risolva i suoi problemi per tornare a realizzare i nostri sogni.
Questo è l’obiettivo, un obiettivo ambizioso per il quale paradossalmente ci vuole un’Europa più umile e, poiché umile, più credibile. Siamo onesti nei confronti dei nostri cittadini: l’Europa non è la fonte di tutti i problemi ma certo neanche la soluzione di tutti i problemi.
Abbiamo bisogno di comportamenti politici più responsabili. Promettere quello che non si è capaci di realizzare, prendere impegni che sappiamo non poter rispettare, addebitare all’Europa la responsabilità di decisioni comunque ineluttabili sono peccati politici biasimevoli ma comprensibili in tempi normali, pericolosi e non tollerabili in tempi come i nostri.
C’è bisogno di un’Europa che si focalizzi su quello che si deve fare e che lo faccia, in una serie di realistici passi avanti, come annunciato nelle dieci priorità del presidente Juncker: per esempio sviluppando l’Economia circolare, il Mercato interno digitale, l’Unione energetica.
Vogliamo un’Europa che si ricordi dei suoi vantaggi. Di come l’unione faccia la forza: forza geostrategica, economica, politica — forza che i singoli Stati nazionali europei non avranno mai più.
Ma un’Europa che non sia solo l’Europa del «perché se no» ma anche l’Europa del «perché sì...». Perché si condividono valori. Perché si è membri della comunità di diritto creata dai nostri Trattati.
Perché si gode della stessa arte e della stessa cultura.
Perché siamo pronti a mandare i nostri figli e le nostre figlie a studiare, ballare, vivere, e crescere insieme.
Perché si piange insieme quando la disgrazia li colpisce senza discriminare fra nazionalità nel pieno della loro giovinezza.
Vogliamo un’Europa senza muri. I muri dividono, bloccano, ostruiscono la vista dell’altro che diviene straniero, non più uomo ma categoria, un facile capro espiatorio.
I confini invece danno forma, delineano chi siamo, ci fanno vedere l’altro e tramite i suoi occhi ci fanno conoscere noi stessi.
Ci fanno vedere la differenza e quindi ci scuotono dall’indifferenza. Ci fanno vedere perché siamo quello che siamo, perché dialogare con gli altri ma anche perché essere pronti a difendere i nostri valori comuni europei.
Libertà, eguaglianza e fratellanza, i tre valori Libertà, eguaglianza e fratellanza Ideali che Victor Hugo identificava come i passaggi verso lo stato più alto della civiltà: ma oggi sono messi in discussione, dobbiamo riscoprirli
europei che nel 1875 Victor Hugo identificò come i tre passaggi verso lo stato più alto della civiltà. Tre valori oggi messi in questione, all’interno dei nostri Paesi e nell’unione fra i nostri Paesi.
La libertà è un diritto, l’uguaglianza un fatto ma la fratellanza, la solidarietà come la chiamava Hugo, un obbligo dal cui rispetto dipende il valore della nostra libertà e la nostra eguaglianza.
La fratellanza non è altruismo. È il sapere di vivere in una comunità dove se io aiuto l’altro, allora l’altro aiuterà me nel momento del bisogno.
Questo senso di fratellanza va recuperato, a partire dal centro delle nostre società verso l’esterno.
Più solidarietà nei nostri Paesi e fra i nostri Paesi. La crisi e i suoi demiurghi ci separano e ci isolano.
Ma siamo tutti interconnessi, individui, nazioni. Nessuna società cresce se non è comunità. Non siamo isole o, se lo siamo, dobbiamo essere punti di attracco e di partenza, non scogliere inaccessibili. Che l’idea salpata da Ventotene continui il suo viaggio.
Primo vicepresidente della Commissione europea
Patrimonio da difendere Condividiamo valori di una comunità di diritto creata dai nostri Trattati, in un territorio che gode della stessa arte e della stessa cultura