Corriere della Sera

Nel laboratori­o di Uber

- Martina Pennisi

Travis Kalanick per un totale di 22 mila metri quadri di superficie.

In Uber si respira un’aria rilassata e fertile. I 2 mila dipendenti, di svariate nazionalit­à e con un’età media intorno ai 30 anni, si aggirano per gli spazi in cui si trovano sia scrivanie tradiziona­li sia postazioni più comode e inusuali, come divani o nicchie in cui accoccolar­si sempre di computer muniti. Non ci sono italiani e si tratta soprattutt­o di ingegneri e persone attive nella relazione con i clienti e nel reclutamen­to di nuovi autisti.

Le pareti e i pavimenti ri-

Si tratta di un’azienda che fornisce un servizio di trasporto automobili­stico privato: il tutto funziona attraverso un’applicazio­ne installata sul telefonino e che mette in collegamen­to diretto il passeggero e gli autisti

Il primo passaggio è quello di iscriversi, dando i propri dati personali e quelli della carta di credito. Ogni volta che si utilizza il servizio l’app invia le coordinate Gps a un centralino che gestisce le richieste mandando in zona l’autista libero più vicino chiamano il design del nuovo logo, a sua volta ispirato alle mappe e ai collegamen­ti fra le città. Capita poi di trovare su una colonna un passaggio di Fondazione di Isaac Asimov, che immaginava di prevedere il futuro con formule matematich­e.

In uno dei regni odierni degli algoritmi non è un caso. Non ci sono biliardini o tavoli da ping pong, come spesso accade in realtà analoghe: «Qui è tutto focalizzat­o sul lavoro», spiega Faryl, pierre 31enne che si assicura eleganteme­nte che non vengano fatte fotografie delle zone con gli schermi accesi. Ha lavorato per Square e si poi è spostata alla corte di Kalanick, racconta mentre mostra con orgoglio il contatore con il numero di veterani assoldati come autisti, uno dei buoni propositi del gruppo.

L’altro, soprattutt­o negli ultimi giorni, è di rispettare le

I dipendenti

All’interno si trovano ingegneri e addetti che reclutano i nuovi autisti

regole imposte in California sulla selezione di chi scarrozza i clienti: a Los Angeles e San Francisco il mancato allineamen­to è appena costato una multa di 10 milioni di dollari.

Il rapporto fra gli autisti, sia quelli profession­ali sia quelli che con UberPop sfruttano il loro veicolo personale, e la società è al centro del dibattito anche nel Vecchio Continente. Il Public policy Matt Kallman sottolinea che «negli Stati Uniti, come in Europa e in Italia, sono lavoratori autonomi, così come i tassisti. Di fatto non si sta costruendo un mercato diverso da quello di prima, ma si consente a tante persone di generare un reddito addizional­e».

Uber è e vuole rimanere «un punto di contatto fra persone che devono spostarsi con persone che possono portarle a destinazio­ne». E, piaccia o meno, non è intenziona­ta a scalare le marce.

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