Gli indiani interpretano come segno di debolezza la nostra ricerca di appoggi, dall’Ue agli Usa. Meglio concentrarci sulle argomentazioni giuridiche, poi Modi deciderà con Renzi
lasciare per anni le cose come stanno sarebbe per noi devastante e scandalizzarsi per tempi che erano assolutamente prevedibili non serve a nulla. Che ci piaccia o no, in questa storia siamo demandeurs e dovremo porre attenzione a qualsiasi segnale possa manifestarsi.
L’Ue ha espresso a Bruxelles sostegno all’Italia, ma attenzione a non contarci troppo. L’economia indiana cresce a ritmi del 7% ed è difficile immaginare che Francia, Germania o Gran Bretagna siano disponibili — aldilà delle dichiarazioni di rito — a mettere a rischio per noi le loro posizioni su quel mercato (quelle dell’Italia si vanno erodendo una a una e sarebbe il caso di pensarci, perché prima o poi la saga dei marò finirà e, a quel punto, rischieremo di trovarci del tutto fuori da un Paese chiave anche per la nostra economia).
Contiamo sull’appoggio americano, ma anche qui attenzione. Ribaltando la linea sostenuta per decenni, abbiamo bloccato la firma di accordi che dovrebbero completare la definitiva legittimazione internazionale dell’India come potenza nucleare. La questione preme a Obama tutto sommato più di quanto prema a Delhi; potremmo trovarci a dover cedere a una forte pressione americana, prima e senza che da parte indiana si siano date le assicurazioni che cerchiamo.
Evocando all’Aia il tema dell’insufficienza delle garanzie italiane per il ritorno di Latorre e Girone, nel caso il processo dovesse tenersi a Delhi, gli indiani hanno aperto una finestra negoziale la cui reale portata andrà verificata presto. Incassata la vittoria elettorale contro Sonia Gandhi, la vicenda dei marò è rimasta per Narendra Modi un fastidio sul piano internazionale: minore ai suoi occhi di quanto immaginiamo, ma comunque sufficiente a fargli pensare di risolvere una controversia da cui aveva tratto quanto poteva servirgli. Al tempo stesso, l’usura di due anni di governo carico di promesse non realizzate sta alimentando una opposizione crescente al suo programma di modernizzazioni: i marò potrebbero tornare a essergli tatticamente utili per recuperare l’appoggio dei tradizionali alleati dell’estremismo induista, da cui aveva preso le distanze. Se ne vedono le prime avvisaglie e lo scenario per noi potrebbe farsi più pericoloso: ragione di più per non perdere tempo.
L’India ragiona in termini di rapporti bilaterali di forza e tende a leggere come un segnale di debolezza la nostra ricerca di appoggi esterni, dall’Ue come dagli Stati Uniti. Dobbiamo continuare ad argomentare con forza le nostre ragioni giuridiche, che ci sono. È fondamentale rilanciare quel canale politico riservato che ha dato a volte l’impressione di funzionare a corrente alternata, in un susseguirsi non sempre chiaro di inviati e di mediatori. Da questa vicenda usciremo tanto coi giudici quanto con la politica e Narendra Modi, quando sarà il momento, vorrà decidere da solo. Con Matteo Renzi e basta.
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