Corriere della Sera

Anteprima Emancipazi­one di una crocerossi­na La Caporetto di un amore impossibil­e

- Di Pierluigi Battista

Vista con gli occhi di una giovane crocerossi­na scaraventa­ta dalla Napoli bene in un ospedale da campo vicino al Carso, la Prima guerra mondiale non era poi molto differente dall’«inutile strage» denunciata a suo tempo da Papa Benedetto XV. Un’immane macelleria, ecco cos’era. Un luogo dell’orrore dove sembra impossibil­e che potessero fiorire sentimenti delicati, trasalimen­ti amorosi, sguardi e carezze di calda intensità. Quale passione poteva esplodere in quel grumo di sangue e fango, nel fetore della morte, nel «disgusto della bocca che vomita il cervello», tra piaghe, petti squarciati, arti amputati, ferite infette, «pelle accartocci­ata dalle ustioni», «gli insopporta­bili gorgoglii nella gola dei moribondi», e poi nel terrore della notte o gelida o bollente, infestata da mosche e zanzare, nel silenzio rotto dai lamenti, dai gemiti, dai rantoli di chi sta conoscendo i suoi ultimi, atroci momenti, oppure dagli scoppi delle cannonate, dai vetri che vanno in frantumi giusto il tempo di un boato, dalle granate sempre più vicine? Impossibil­e.

Eppure nel nuovo romanzo di Elisabetta Rasy, Le regole del fuoco (Rizzoli), l’impossibil­e accade. Una storia tenera ma anche segnata dal dolore e dalla gelosia, un sussulto di emozioni, «un sospiro sottile nel buio», ma anche un legame che spezza i ritmi di quell’inferno in trincea, sboccia con un’intensità commovente. Destinata allo scacco. Eppure custodita negli anni a venire, nei tanti anni a venire, come l’esperienza più importante della vita, cui restare fedele per sempre, come il riconoscim­ento di un evento eccezional­e e perciò irripetibi­le.

In una nota che conclude il libro Elisabetta Rasy scrive: «Questa storia è stata ispirata da antichi ricordi ma anche dalla lettura di molti diari delle infermiere volontarie della Grande Guerra. Attraverso le loro voci mi sono documentat­a sulla vita, le difficoltà e lo speciale coraggio di queste donne in guerra. A loro va il mio pensiero riconoscen­te». E infatti: c’è molta storia, storia vissuta e subita, in queste pagine, la statica vicinanza alla morte delle trincee, i ripiegamen­ti, la rotta di Caporetto, le nuove armi che alimentaro­no la carneficin­a fino ad assumere dimensioni apocalitti­che mai toccate nelle guerre precedenti. E poi la psicologia dell’esercito italiano, lo stato della medicina e delle cure da portare ai feriti, la spaventosa epidemia della «spagnola» che finì per mietere milioni di vittime.

Ma c’è anche una perlustraz­ione precisa e narrativam­ente incalzante delle emozioni di una donna che dal chiuso asfittico della classe agiata napoletana

La ricostruzi­one di un ospedale da campo nella mostra La Guardia di Finanza nella Grande Guerra (Venezia, Palazzo Ducale, 2015)

dei primi decenni del Novecento, fatto di vuoto e di futilità, si catapulta come fosse un’elettrizza­nte avventura nelle retrovie della guerra per sfuggire alla noia e alle smanie dispotiche di una madre vedova indolente.

C’è questa giovane ragazza di Napoli che lascia il mare e la forma familiare del Vesuvio per andare lungo fiumi sconosciut­i, montagne dal profilo frastaglia­to e il suo amore che vive sul lago e non conosce la differenza tra un lago e il mache La giovane napoletana e la ragazza del lago: una storia tenera destinata allo scacco

re. Che lascia sempre almeno una ciocca di capelli biondi leziosamen­te fuori della cuffia candida da crocerossi­na mentre va a bendare feriti sventrati e mutilati. Ci sono le donne che nella Prima guerra mondiale conoscono per la prima volta il lavoro fuori della schiavitù domestica e riempiono fabbriche, officine, uffici, ospedali. C’è la ragazza del lago che, addirittur­a alla fine degli anni Dieci del XX secolo, si permette di voler studiare Medicina e tutti che le dicono Antichi ricordi ma anche i molti diari delle infermiere che partivano volontarie

sta coltivando un sogno velleitari­o. E c’è la protagonis­ta che per emancipars­i deve scappare via. Tagliare i ponti e tagliarsi i capelli, vestire in modo eccentrico, andare a Parigi dove si respira un’aria più libera e frizzante, lontana dai miasmi fetidi degli ospedali da campo e da quella ammuffita e gretta dei riti di una famiglia insopporta­bilmente asfissiant­e. Portare con sé un apparecchi­o fotografic­o della Kodak e diventare una grande fotografa, nel ricordo di un’istantanea fatta all’amore dell’ospedale e mai più ritrovata. Nel ricordo di una fuga precipitos­a, la fuga da Caporetto (la «mia Caporetto», come la definisce la protagonis­ta), nel ricordo di una persona smarrita, la più importante persona della vita, una donna, un’altra donna. Raccontata con estrema delicatezz­a e molto tatto, dall’autrice Rasy.

E poi lettere d’amore dissimulat­e per evitare le intrusioni della censura militare e i pettegolez­zi delle altre crocerossi­ne insospetti­te da scambi epistolari così frequenti. I messaggi di passione cifrati, filtrati attraverso i testi delle canzoni napoletane che la ragazza del mare invia alla ragazza del lago, nascoste da un pudico e formale «Lei» per cancellare il troppo intimo «Tu». Canzoni che Elisabetta Rasy ha ascoltato, sussurrato e canticchia­to chissà quante volte nella sua infanzia e nella sua adolescenz­a e che in questo romanzo vengono restituite come testimonia­nze di un lessico dei sentimenti intenso e inedito, frammenti di un discorso amoroso che parla con un linguaggio pubblico alle emozioni più private e riservate. Dove nulla è facile. Anzi, tutto è impossibil­e e contrastat­o, destinato a tutt’altro che a un lieto fine, una Caporetto da cui è difficile fuggire. La «sua» Caporetto.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy