Muse, droni in volo e palco che gira per un’esperienza rock totalizzante
La band a Milano: «Il pop vende di più, ma dal vivo la gente vuole chi suona veramente»
Rock e spettacolo non vanno d’amore e d’accordo. Costumi, trovate, scenografie sono visti come un tradimento della missione. Robaccia pop. Ma gli eretici ci sono. Vedi la grandeur live di Pink Floyd e U2.
A portare avanti quell’eredità ci sono i Muse. Il loro tour — sei date a Milano, #museweek l’hanno ribattezza i fan, la prima sabato, tutti sold out, record assoluto per un artista internazionale — soddisfa l’occhio. Palco centrale e rotante, droni gonfiabili di 3 metri di diametro e uno lungo 5 metri a forma di astronave. «Il nostro album “Drones” album parla in modo metaforico di come la tecnologia possa essere invasiva e comandarci. Abbiamo voluto rappresentare quel concetto usando le novità più avanzate nel settore per regalare un’esperienza che non fosse solo come il cinema, ma fosse totale, immersiva», racconta il leader Matt Bellamy prima di andare in scena. C’erano richieste per almeno altri due show fa sapere il promoter Corrado Rizzotto ma era libero il Forum. Praticamente due stadi esauriti. «La scelta indoor è legata al divieto di far volare droni all’aperto per motivi di sicurezza», aggiunge. Qualche incidente c’è stato anche così, ma nulla di grave. Una volta un drone è cascato in testa albassi staChris Wolstenholme. «Non mi sono fatto nulla, si è rovinato il drone: sono leggeri e delicati».
La produzione è ambiziosa, si sprecano gli wow del pubblico e questo concerto alza l’asticella per tutti. L’idea del pubblico che circonda la band a 360 gradi non è nuova (copyright U2), ma il palco rotante la rende ancora più fruibile: difficile vedere uno dei Muse di schiena per più di qualche secondo. I droni sono suggestivi nel loro muoversi silenziosi e minacciosi. Per reggere tutto questo e non scadere nel trash ci vogliono canzoni con le spalle larghe. I sette album degli inglesi (20 milioni di copie nel mondo) offrono materiale. Nella prima parte c’è molto dell’ultimo « Drones » . Basso e batteria hanno un peso quasi metal, Bellamy si lascia andare in assoli epico-barocchi (fin troppo a volte). Potrebbero essere più personali le grafiche, ispirate a un immaginario tech. Ma siamo oltre la ricerca del pelo nell’uovo.
«Supermassive Black Hole», con i droni in volo, è una botta di energia che si scioglie nella dolcezza di «Starlight». C’è il momento con il discorso del 1961 di Kennedy, ripreso da «Drones», che agita la minaccia del blocco sovietico. «A sentire i discorsi di Trump e Sanders, a parte il fatto che i primi sono pure stupidi, sembra che gli Usa siano concentrati sui loro affari interni. È preoccupante per l’Europa. In questo modo si allargherà l’influenza della Russia», analizza Bellamy dietro le quinte, mentre gioca con un anellino di quelli fatti con il filo di ferro piegato a scrivere un nome. Elle. « Ce li siamo fatti fare a Camden io e la mia compagna (Elle Evans, modella ed ex coniglietta ndr). Saranno costati 10 sterline».
Non c’è respiro fra una canzone e l’altra, quasi tutto di fila, «Time Is Running Out» resta un classicone, spuntano citazioni per gli AC/DC e per Morricone. «L’Oscar se l’è meritato. È uno dei più importanti compositori del ventesimo secolo».
Il rock non è morto. Sorride Chris. «Lo si dice da anni. Il pop vende molto di più, ma nei concerti la gente vuole ancora vedere persone che suonano veramente. E lo dico con grande rispetto per l’elettronica che però non mi sembra possa creare carriere con la stessa longevità del rock».