Corriere della Sera

I MILITANTI ANTIPOLITI­CA

Questi movimenti hanno due problemi collegati. Il primo è che sono la negazione della democrazia liberale. Il secondo è che in caso di successo generano l’effetto opposto: politicizz­ano in modo integrale l’intera società

- Di Angelo Panebianco

Nella patria di Machiavell­i l’«autonomia della politica» se la passa piuttosto male. È sfidata da un’ ideologia, potentissi­ma perché fattasi ormai senso comune, abbracciat­a anche da molti di coloro che non si identifica­no in movimenti (detti) antipoliti­ci. Ciò che viene definito «antipoliti­ca» oppure populismo, altro non è che la pretesa (destinata a fallire, come si dirà, a sfociare nell’esito opposto) di negare qualsiasi grado di autonomia alla politica, di farne la schiava, e l’esecutrice, della morale comune in talune versioni, e del diritto in altre.

Sono in azione in Italia due diversi «movimenti» di questo tipo. Il primo è rozzo, il secondo è sofisticat­o. Quello rozzo opera trasversal­mente, coinvolge diverse forze politiche, usa argomenti con cui «parla» alla pancia del popolo. È l’ideologia del «tutti ladri». Per fronteggia­re i fenomeni di corruzione non propone soluzioni tecniche intelligen­ti. Ad esempio, ripristina­re la certezza del diritto senza bloccare gli appalti, semplifica­ndone la disciplina, o mettere in campo misure a favore di una forte crescita economica, il migliore antidoto contro la corruzione.

No, propone, puerilment­e, di sostituire gli «onesti» (futuri destinatar­i di avvisi di garanzia) ai « disonesti». Finge di non sapere che è l’occasione (le circostanz­e date) a fare l’uomo ladro.

Al di là dell’improntitu­dine di tante proposte, è l’ideologia di fondo la cosa più interessan­te. Essa nega alla politica, si tratti di vicende interne o di affari esteri qualsiasi autonomia. Sostiene che i politici sono «cittadini come tutti gli altri». Cosa assolutame­nte falsa: un cittadino comune rappresent­a solo se stesso ed è responsabi­le solo per se stesso. Un politico eletto in una democrazia rappresent­a altri ed è responsabi­le per loro. È quella falsa credenza che spinse a togliere ai parlamenta­ri le protezioni di cui godevano a tutela del loro delicato ruolo.

Non si possono pretendere ragionamen­ti troppo sofisticat­i da coloro che abbraccian­o la suddetta ideologia. Per esempio, non si può pretendere che comprendan­o che morale comune e morale politica sono spesso coincident­i ma talvolta non lo sono. Fiat iustitia et pereat mundus, sia fatta la giustizia anche a costo che il mondo vada in rovina, può essere la massima a cui si ispira la vita di un sant’uomo ma non può guidare chi ha la responsabi­lità di tutelare una collettivi­tà, per il quale la «salvezza del popolo» (della repubblica) è il primo principio di moralità politica a cui il suo ruolo gli impone di attenersi. Naturalmen­te, nelle nostre democrazie, i leader sono tenuti a fare ogni sforzo per conciliare morale comune e morale politica ma difficilme­nte questa conciliazi­one può avvenire senza continue tensioni e contraddiz­ioni.

Il secondo movimento è più sofisticat­o del primo. Parla anch’esso alla pancia del popolo ma con meno comizi (anche se chi guida le sue strutture associativ­e i «comizi» li fa eccome). È animato da un certo numero di magistrati che hanno scelto un ruolo militante. Qui l’idea è che la politica debba essere l’ancella del diritto e pertanto sottoposta a un rigido controllo, un controllo molto più stringente di quello che si dà dove alla politica si riconosce autonomia. Ma di quale diritto si tratta? Esso è sempre meno rappresent­ato dalle leggi ordinarie, parlamenta­ri, le quali sono, ovviamente, il frutto di decisioni politiche. Il diritto a cui ci si appella per negare l’autonomia della politica è soprattutt­o quello costituzio­nale. È interessan­te leggere le argomentaz­ioni di alcuni magistrati che fanno oggi campa- gna per il «no» al referendum di ottobre sulle riforme. È la Costituzio­ne il loro punto di riferiment­o ed essa deve restare immutata, intangibil­e.

Anche questo movimento vuole negare autonomia alla politica. Lo fa in due maniere. Il vincolo costituzio­nale viene ora interpreta­to — dalla Corte costituzio­nale ove svolgono un ruolo decisivo i giudici che provengono dalla magistratu­ra ordinaria — in modo così stringente da permettere intrusioni sempre più pesanti contro presunte violazioni da parte dei politici. Alcune sentenze della Corte (come, ad esempio, quella sulla legge elettorale) indicano che le barriere e, con esse, l’auto-limitazion­e da parte dei giudici, sono cadute. D’ora in poi, presumibil­mente, assisterem­o a sempre più frequenti invasioni di campo.

Il secondo modo è proprio di alcuni settori della magistratu­ra ordinaria per i quali l’interpreta­zione della Costituzio­ne non è affare che riguardi solo la Suprema corte ma qualunque magistrato, il quale può usarla come fonte e giustifica­zione dell’azione giudiziari­a. Quando l’autonomia della politica era rispettata, la magistratu­ra ordinaria accettava che suo compito fosse solo l’applicazio­ne delle leggi votate dal Parlamento (dunque dalla politica). Non credo passerà molto prima che anche decisioni squisitame­nte politiche come quelle che riguardano il varo delle leggi finanziari­e finiscano al vaglio di procedimen­ti giudiziari ordinari per presunte violazioni della Costituzio­ne.

I movimenti detti antipoliti­ci hanno due problemi collegati. Il primo è che sono la negazione della democrazia liberale, la quale si regge sulla relativa autonomia delle diverse sfere di attività (politica, economica, culturale). Si veda anche l’argomentaz­ione convergent­e di Giuseppe De Rita ( Corriere, 15 maggio).

Il secondo problema è che in caso di successo tali movimenti generano l’effetto opposto a quello dichiarato dalla loro ideologia: politicizz­ano in modo integrale l’intera società. Annullando l’autonomia relativa delle diverse sfere di attività, distruggon­o la democrazia liberale, la sostituisc­ono con una variante del totalitari­smo. Il totalitari­smo è politica al massimo grado, occupa ogni angolo della vita individual­e e collettiva.

È consigliab­ile resistere all’antipoliti­ca. Anche se in troppi oggi le si inginocchi­ano davanti. Acritici e deferenti.

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