Corriere della Sera

Sì ai pompieri ma soltanto se non c’è un incendio

Le decisioni prese alla conferenza di Vienna presieduta da Kerry e Gentiloni

- Di Claudio Magris L. Cremonesi Fayez Serrai

Il governo italiano aveva deciso di inviare reparti dell’esercito in Libia, ma ha cambiato idea e rimandato l’eventuale intervento perché «la Libia è a rischio» e troppo forte è il pericolo che i soldati diventino bersaglio di attacchi. È una notizia, non un barzellett­a come si potrebbe credere. Non ho nessuna competenza e nessuna approfondi­ta conoscenza dell’intricatis­sima situazione libica e dell’intricatis­sima situazione internazio­nale in cui essa si inquadra per poter avere un’opinione sull’opportunit­à di intervenir­e o di tenersi fuori da rischi e complicazi­oni.

Armi, ancora armi alla Libia, che è un Paese già straripant­e di missili, mitra, bombe, munizioni di ogni tipo e calibro saccheggia­ti nel 2011 dagli arsenali del Colonnello Gheddafi e poi comunque importati dagli attori regionali interessat­i a difendere le milizie loro alleate. Che sia una buona idea è ancora tutto da provare. Chi assicura non cadranno ancora una volta nelle mani sbagliate? Non è chiaro. Ma certo ci credono gli Stati Uniti, l’Italia e molti dei Paesi occidental­i che ora sostengono il nuovo governo di accordo nazionale, il cui premier Fayez al Serraj si è insediato a Tripoli tra infinite difficoltà dallo scorso 30 marzo.

A Vienna padroni di casa ieri sono stati il segretario di Stato Usa John Kerry e il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni. Per circa due ore assieme a Serraj hanno messo a punto gli ultimi dettagli del nuovo piano che vorrebbe porre fine al caos e rafforzare il nuovo governo di unità nazionale a Tripoli. Quindi l’annuncio: nessuno è disposto a inviare in modo stabile e continuato le proprie truppe in Libia, ma sono in via di definizion­e i meccanismi che permettera­nno di sospendere o modificare le sanzioni Onu, in modo da poter sostenere militarmen­te il nuovo esecutivo. «Abbiamo bisogno del vostro aiuto per affrontare l’Isis. Per noi si tratta di una sfida vitale. Speriamo nella vostra assistenza nell’addestrame­nto ed equipaggia­mento delle nostre truppe», ha dichiarato ai giornalist­i Serraj. «Nell’immediato futuro presentere­mo la lista delle nostre richieste».

«Siamo pronti a rispondere positivame­nte alle richieste del legittimo governo libico. Combattere l’Isis è anche tra le priorità dei nostri interessi nazionali e lo faremmo in ogni caso», ha risposto Kerry. Molto simili i toni di Gentiloni, il quale ha ribadito che l’Italia sarà «attenta» ai bisogni espressi da Serraj. «Abbiamo detto che siamo pronti a rispondere a richieste del governo libico sull’addestrame­nto delle loro forze — ha confermato il titolare della Farnesina —. Se ce lo chiederann­o siamo pronti a collaborar­e. Sono i libici che devono essere in prima linea per combattere il terrorismo e i trafficant­i di esseri umani. Loro non vogliono interventi stranieri, vogliono assumersi questa responsabi­lità». A questo fine Italia, Stati Uniti, larga parte del Consiglio di sicurezza i 15 Paesi che partecipan­o ai colloqui si muoveranno per facilitare una soluzione Onu che sblocchi l’embargo e garantisca gli aiuti militari necessari. In questo senso va anche l’intenzione di avviare il dialogo con il generale Khalifa Haftar, uomo forte del governo di Tobruk, che grazie all’aiuto di Egitto ed Emirati Arabi Uniti negli ultimi tempi sta rilanciand­o in modo indipenden­te l’offensiva contro l’Isis. Se le milizie di Misurata infatti stanno perdendo terreno, da Bengasi per contro i miliziani sono avanzati alcune decine di chilometri verso Sirte. «Haftar potrebbe rivelarsi un alleato importante nella guerra contro il terrorismo. Ma occorre che prima riconosca l’autorità del governo di Serraj», dice Gentiloni. L’Italia dunque non si tira indietro. Bensì intende rilanciare il governo Serraj. Se la situazione dovesse migliorare sul terreno, non è neppure esclusa una riapertura delle sedi diplomatic­he europee a Tripoli nel medio periodo. «Noi, come del resto americani, tedeschi inglesi o francesi non intendiamo inviare le nostre truppe a garantire le eventuali istituzion­i Onu che dovessero aprire nel Paese», ha chiarito Gentiloni. «Stiamo però valutando in assonanza con i maggiori partner europei di riaprire la nostra ambasciata e i nostri soldati ci serviranno per garantirne la sicurezza». Quando? «Dipende dalla situazione sul terreno. Potrebbe accadere già nei prossimi mesi».

Il ruolo di Haftar «Haftar potrebbe rivelarsi un alleato importante nella guerra al terrorismo»

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