Un freno alle cessioni dei rami d’azienda
Un freno alle cessioni di ramo d’azienda troppo garibaldine e al confine con modalità surrettizie di espulsione della manodopera: lo mette la sezione lavoro della Cassazione accogliendo il ricorso di alcuni lavoratori contro il via libera che nel 2013 la Corte d’appello di Milano aveva dato alla cessione dei servizi di back office e gestione credito (con relativo personale delle sedi di Milano, Ivrea, Padova, Roma e Napoli) operata nel novembre 2007 da Vodafone alla Comdata Care spa in base alle norme del 2003 che recepirono una direttiva comunitaria del 2001. I lavoratori (con gli avvocati Ernesto Vitiello e Pier Luigi Panici) denunciavano che la cessione si fosse tradotta in un contratto d’appalto il cui preteso acquirente era in realtà un appaltatore di servizi relativi a beni immateriali, visto ad esempio che ai lavoratori del ramo ceduto venivano fatti usare programmi di proprietà Vodafone e interconnessioni con personale Vodafone.
La Cassazione — presidente Vittorio Nobile, estensore Paola Ghinoy — osserva che, in base alla direttiva Ue che consente ai lavoratori di restare al servizio del nuovo imprenditore alle stesse condizioni pattuite con il cedente, «elemento costitutivo della cessione di ramo d’azienda» deve essere «l’autonomia funzionale del ramo ceduto»: e cioè «la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi, e quindi di svolgere il servizio autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario». Proprio quello che la Corte d’Appello milanese, ordina la Cassazione, dovrà ricontrollare in un nuovo giudizio. Altrimenti, scrive la Cassazione, il rischio in generale é che possano non essere «scongiurate operazioni di trasferimento che si traducano in una mera espulsione di personale».