Matrimoni proibiti
Lotta La banale quotidianità di una famiglia della Virginia è travolta dalla lotta per i diritti Gli Usa in gara: Nichols indaga sulle leggi razziste negli anni 60 Nel film di Jarmusch il racconto poetico di un’America profonda
Giornata tutta americana al festival, con due registi molto amati dalla critica ma non sempre allo stesso modo dal pubblico. Ed entrambi, curiosamente, uniti dalla scelta di raccontare la banalità quotidiana di due famiglie, una oggi (quella di Jarmusch) e una a cavallo dei Sessanta (quella di Nichols).
Paterson, il titolo del film presentato in concorso da Jim Jarmusch, è insieme il nome di una cittadina del New Jersey (che ha dato i natali al poeta William Carlos William) e il cognome del protagonista, autista di autobus e aspirante poeta (interpretato da Adam Driver). La calma vita quotidiana del Paterson conducente, fatta di lavoro, dialoghi un po’ surreali con la moglie (Golshifteh Farahani) sempre alla ricerca di nuove sfide (vendere dolcetti alla fiera, imparare la chitarra) e passeggiate serali col bulldog Marvin comprensive di sosta al bar, oltre che di spazi per scrivere le sue poesie, è raccontata da Jarmusch con altrettanta metodicità. Se non ci fossero i nomi in sovrimpressione — lunedì, martedì, mercoledì… — ogni giorno della settimana sarebbe uguale all’altro, metodico e ripetitivo. Cambiano solo le poesie di Paterson (in realtà del poeta Ron Padgett) che lo spettatore legge scritte sullo schermo, cambiano i dialoghi dei passeggeri dell’autobus (uno riguarda anche l’anarchico italiano Gaetano Bresci, vissuto pure lui a Paterson), cambiano ma nemmeno troppo gli incontri serali del bar e naturalmente i dialoghi con la moglie ma non cambia il senso di questo ritratto in levare, lieve e ironico, che rivendica con bella determinazione il suo statuto anti-epico e anti-spettacolare. Paterson uomo sembra uguale a Paterson città, rassicurante in una metodicità che ogni tanto viene incrinata da qualche inaspettata irruzione del caso — il guasto che blocca l’autobus, l’incontro con un turista-poeta giapponese, il quaderno con le poesie fatto a brandelli dal bulldog lasciato solo in casa — ma che non riesce mai a mettere davvero in discussione un tempo e una vita destinati a ripetersi all’infinito. E che rimandano allo spettatore il senso della fragilità delle cose (e dell’esistenza) e di come il cinema riesca miracolosamente a catturarle.
Anche Loving di Jeff Nichols vorrebbe tenersi lontano dalla retorica per registrare la scabra quotidianità di una famiglia della Virginia, ma finisce per fare i conti con qualcosa di più grande e più ingombrante come il peso della Legge, proprio come è successo nella realtà ai coniugi Loving. Nel 1958, il bianco Richard (Joël) vuole sposare la nera Mildred ( Ruth Negga): lo fanno a Washington perché in Virginia i matrimoni misti sono proibiti ma qualcuno li denuncia e per non finire in prigione devono abbandonare per 25 anni lo stato dove sono nati e cresciuti. Lui è disposto ad accettare la condanna, lei meno e il loro caso finisce per interessare l’Associazione per le libertà civili americane (Aclu) che ingaggerà una procedura legale terminata con una sentenza della Corte suprema che nel 1967 abolì il Racial Integrity Act del 1924 ( che appunto proibiva i matrimoni misti) e permise ai Loving di tornare nella nativa contea di Caroline, in Virginia. Tutta la lotta legale che ha fatto storia nella giurisprudenza è però tenuta sullo sfondo dal regista che preferisce raccontare la vita quotidiana di questo muratore e della sua testarda moglie, finiti sotto i riflettori dei media quasi contro la loro volontà.
È come se Nichols tracciasse un parallelo tra chi non vuole cedere alle tentazioni della popolarità e se stesso, impegnato a resistere alle lusinghe di Hollywood. Richard si tiene stretta la propria ruvida integrità umana (che l’ha portato a non fare mai differenze tra bianchi e neri: lo vediamo benissimo nella scena delle corse con le auto) così come Nichols vuole tenersi lontano dalle sirene della spettacolarità facile e superficiale. Anche a costo di girare un film che rischia la monotonia per eccesso di antiretorica.