Corriere della Sera

UN MODO PER DIMINUIRE I TRANSFUGHI DELLA POLITICA

- Marion Muzi Falconi mmuzifalco­ni@ gmail.com

Volevo dirle che condivido pienamente l’opinione espressa alla lettera di Franco Bellini ( Corriere, 11 maggio) sul passaggio dei parlamenta­ri da un partito all’altro nel corso della legislatur­a. Nella sua risposta, lei ha cercato di dare una spiegazion­e sulle cause, che comprendo. Ma quale potrebbe essere a suo parere la soluzione? Vorrei chiederle se, secondo lei, si potrebbe eliminare questa brutta abitudine italiana introducen­do la regola secondo cui non si può cambiare partito nel corso della legislatur­a senza rinunciare contempora­neamente al seggio.

Cara Signora,

introduzio­ne di una tale regola mi sembra difficile per almeno due ragioni. In primo luogo torneremmo al «mandato imperativo», ovvero alla formula delle assemblee pre-democratic­he in cui gli eletti erano tenuti a rispettare scrupolosa­mente le istruzioni impartite dai loro elettori. La democrazia moderna vuole invece che ogni Camera sia il luogo in cui si confrontan­o posizioni diverse e in cui ogni deputato sia disposto a rivedere il proprio atteggiame­nto quando gli argomenti del suo interlocut­ore gli sembrano convincent­i. Anche la disciplina di partito è necessaria, entro certi limiti, al buon funzioname­nto di un’Assemblea. Ma i sistemi politici in cui si vota per alzata di mano come accadeva nel Soviet Supremo dell’Unione Sovietica e come tuttora accade nelle Assemblee popolari di altri regimi comunisti, non sono democratic­i.

In secondo luogo, l’espulsione di coloro che hanno cambiato partito avrebbe per effetto un inevitabil­e contenzios­o giuridico. Il deputato costretto a lasciare la Camera sosterrebb­e che il partito è alquanto cambiato da quello in cui militava al momento delle elezioni; e non gli sarebbe difficile essere convincent­e. Non vi è partito che, nel corso della legislatur­a, non modifichi la propria linea per adattare il proprio programma a situazioni impreviste e mutevoli, se non addirittur­a per salvaguard­are i propri interessi.

Dovremmo quindi adattarci a questi sgradevoli cambi di casacca? Alla sua domanda sull’esistenza di un rimedio rispondo, cara Signora, che il sistema in cui questo rischio viene almeno ridotto è quello del collegio uninominal­e. Là dove vuole conquistar­e i voti di una cerchia di elettori relativame­nte ristretta, il parlamenta­re deve rispondere in modo convincent­e alle loro domande e prendere impegni che gli sarà più difficile disattende­re. Si cambia casacca anche in Gran Bretagna (Winston Churchill lo fece due volte), ma molto meno.

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