UN MODO PER DIMINUIRE I TRANSFUGHI DELLA POLITICA
Volevo dirle che condivido pienamente l’opinione espressa alla lettera di Franco Bellini ( Corriere, 11 maggio) sul passaggio dei parlamentari da un partito all’altro nel corso della legislatura. Nella sua risposta, lei ha cercato di dare una spiegazione sulle cause, che comprendo. Ma quale potrebbe essere a suo parere la soluzione? Vorrei chiederle se, secondo lei, si potrebbe eliminare questa brutta abitudine italiana introducendo la regola secondo cui non si può cambiare partito nel corso della legislatura senza rinunciare contemporaneamente al seggio.
Cara Signora,
introduzione di una tale regola mi sembra difficile per almeno due ragioni. In primo luogo torneremmo al «mandato imperativo», ovvero alla formula delle assemblee pre-democratiche in cui gli eletti erano tenuti a rispettare scrupolosamente le istruzioni impartite dai loro elettori. La democrazia moderna vuole invece che ogni Camera sia il luogo in cui si confrontano posizioni diverse e in cui ogni deputato sia disposto a rivedere il proprio atteggiamento quando gli argomenti del suo interlocutore gli sembrano convincenti. Anche la disciplina di partito è necessaria, entro certi limiti, al buon funzionamento di un’Assemblea. Ma i sistemi politici in cui si vota per alzata di mano come accadeva nel Soviet Supremo dell’Unione Sovietica e come tuttora accade nelle Assemblee popolari di altri regimi comunisti, non sono democratici.
In secondo luogo, l’espulsione di coloro che hanno cambiato partito avrebbe per effetto un inevitabile contenzioso giuridico. Il deputato costretto a lasciare la Camera sosterrebbe che il partito è alquanto cambiato da quello in cui militava al momento delle elezioni; e non gli sarebbe difficile essere convincente. Non vi è partito che, nel corso della legislatura, non modifichi la propria linea per adattare il proprio programma a situazioni impreviste e mutevoli, se non addirittura per salvaguardare i propri interessi.
Dovremmo quindi adattarci a questi sgradevoli cambi di casacca? Alla sua domanda sull’esistenza di un rimedio rispondo, cara Signora, che il sistema in cui questo rischio viene almeno ridotto è quello del collegio uninominale. Là dove vuole conquistare i voti di una cerchia di elettori relativamente ristretta, il parlamentare deve rispondere in modo convincente alle loro domande e prendere impegni che gli sarà più difficile disattendere. Si cambia casacca anche in Gran Bretagna (Winston Churchill lo fece due volte), ma molto meno.