I due livelli e gli errori da evitare
Èfinita com’era logico che finisse. Ma dopo l’assoluzione di Conte decisa dal gup Pierpaolo Beluzzi bisogna tenersi lontani da due errori madornali. Il primo e più grave sarebbe pensare che l’inchiesta, durata cinque anni (troppi, ma è anche colpa dei pochi mezzi a disposizione degli inquirenti) ne esca depotenziata o svilita: il quadro accusatorio ha retto, una cinquantina di imputati risponderanno per associazione a delinquere, 17 hanno già patteggiato e gli altri (sfidando la prescrizione) sono stati «distribuiti» in vari tribunali. Come ha detto il pensionando (con polemica) pm Di Martino (che quindi non parteciperà al processo a dicembre) «si è comunque sollevato il coperchio sulle partite truccate e questa indagine ha favorito la modifica al reato di frode sportiva». Non è poco. Il secondo errore sarebbe pensare che ci sia una qualche contraddizione tra la condanna a quattro mesi per omessa denuncia che il c.t. ha subito dalla giustizia sportiva e l’assoluzione ottenuta da quella ordinaria. Perché siamo su due piani diversi e quello che basta e avanza, in sede disciplinare, per condannare una condotta omissiva, non costituisce necessariamente reato in sede penale. Anzi, l’esito di questa storia forse insegna una cosa: che ha più senso che certe posizioni come quella di Conte — quando non ci sono di mezzo scommesse o corruzioni ma siamo nell’area grigia del «non poteva non sapere» o dell’omesso controllo — vengano gestite dalla giustizia sportiva, magari con maggior durezza, ora che è stato abolito lo scontificio del Tnas, senza ingolfare i tribunali. L’errore di Di Martino è stato non accontentarsi del cuore dell’inchiesta ma seguire mille ramificazioni poco produttive. Ma il cuore rimane.