Corriere della Sera

Almodóvar sorprende tra memoria e dolore

Almodóvar sorprende con «Julieta», film sul dolore Un nuovo stile senza eccessi né personaggi barocchi

- Di Paolo Mereghetti Cappelli, Ulivi

Almodóvar cambia stile. Julieta, proposto ieri al Festival di Cannes, è sì l’ennesimo ritratto femminile, ma stavolta più trattenuto e doloroso. Un dolore che sa prendersi le sue rivincite. (Nella foto, il regista spagnolo con Adriana Ugarte ed Emma Suárez)

L’autore spagnolo punta alla Palma con un dramma

Contropied­e Almodóvar. Chi si aspetta il «solito» film colorato e barocco è avvertito: questa volta il regista spagnolo cambia radicalmen­te stile e messa in scena. Julieta (presentato ieri a Cannes e da settimana prossima nei cinema italiani) è sì l’ennesimo ritratto femminile del regista, ma questa volta più trattenuto, amaro, doloroso. Perché se c’è un tema che emerge dal film, oltre al peso che vi gioca il destino, è proprio il dolore, una specie di porta stretta e obbligata attraverso cui le persone devono passare per riuscire a capire il senso della propria vita. Un dolore che a volte è represso, sepolto, ma che poi finisce per prendersi la sua rivincita, obbligando le persone a farci i conti.

Come succede appunto alla Julieta del film, cinquanten­ne madrilena (Emma Suárez) cui il casuale incontro con l’amica d’infanzia della figlia apre abissi di ricordi: intuiamo che i rapporti sono interrotti da anni, che ignorava avesse dei figli e che si fosse trasferita all’estero (forse in Svizzera, forse in Italia).

A spiegare cosa è successo e l’ha spinta a rifiutare di seguire in Portogallo l’uomo che ama ( Darío Grandinett­i) ci penserà la stessa Julieta che ripercorre in una specie di diario tutta la sua storia. (A proposito, anche qui, si vede un protagonis­ta scrivere sul foglio bianco, come in Paterson, in Mademoisel­le, in Mal de pierres, in Loving: curioso questo bisogno di filmare l’atto della scrittura, vedere le parole formarsi sullo schermo).

Con una serie di lunghi flash-back il film (attraverso i

Succede per Julieta che incontra Xoan su un treno per sfuggire a un viaggiator­e che lei crede invadente e molesto e invece sta cercando (invano) un appiglio per non mettere in atto i suoi propositi suicidi. Succede a Xoan, cui la morte della moglie da anni in coma elimina ogni ostacolo nel suo rapporto con Julieta. Succede col padre della protagonis­ta, cui la malattia della madre apre la strada per un nuovo amore. E se non è il dolore è la gelosia, la rabbia, l’invidia…

Riducendo al minimo la propria tradiziona­le esuberanza e la vitalità contagiosa delle sue precedenti eroine, capaci di superare ogni ostacolo, Almodóvar racconta la depression­e e la sofferenza che possono catturare le persone. Un po’ per «colpa» dei racconti di Alice Munro (dalla raccolta In fuga) che sono serviti da ispirazion­e al film, ma molto per un’evidente cambio di tono registico e psicologic­o: finiti gli anni dell’entusiasmo spensierat­o e colorato, oggi il regista parla di cose che in passato aveva rimosso ma che evidenteme­nte non aveva cancellato. A cominciare dal senso di colpa, che in Julieta diventa il vero motore del dolore che divora l’anima delle persone.

Ne esce così un film volutament­e incompiuto, che lascia le soluzioni sospese, che porta lo spettatore a confrontar­si con il prezzo che ogni felicità sembra avere (non c’è un personaggi­o che non faccia i conti con la morte, la malattia o l’abbandono) ma che pur negando ogni lieto fine ci ricorda come l’esperienza del dolore e della sofferenza vadano guardare in faccia, senza infingimen­ti e soprattutt­o senza false coscienze. E che sullo schermo prendono la forma di uno scavo doloroso e sottile nella vita delle persone.

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