Corriere della Sera

Il rompicapo dell’export

- Di Dario Di Vico

Dobbiamo già riporre nel cassetto tutti i sogni e le lodi sulle magnifiche sorti del nostro export? Tra i tanti dati sfornati ieri dall’Istat ce n’è uno che equivale a una doccia fredda per il Pil: a marzo ‘16 le vendite all’estero sono calate di 1,5% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto al marzo 2015.

La causa prima del dietrofron­t sta nella contrazion­e del commercio internazio­nale e infatti, nel primo scorcio del nuovo anno mentre teniamo le posizioni in Europa, arretriamo nettamente (-5,2%) nei Paesi extra Ue. È evidente che nel mondo il vento non tira più in direzione dell’intensific­azione degli scambi: c’è aria di sospetto/antagonism­o attorno al negoziato Ttip tra Stati Uniti e Ue, Pechino ha subito il cartellino rosso del Parlamento europeo di Strasburgo che non ritiene quella cinese «un’economia di mercato» e sono ancora in vigore le sanzioni contro Putin. Il resto lo fa il prezzo del petrolio che sta riducendo drasticame­nte le entrate dei Paesi Opec e diminuisce la propension­e dei consumator­i a spendere. Il guaio ulteriore però è che a parità di trend (preoccupan­te) del commercio globale, l’Italia nel marzo ‘16 è calata mentre la Germania ha fatto segnare +1,6% e la Francia +0,2%.

Che fare dunque? Il rallentame­nto della crescita cinese e la lotta contro la corruzione lanciata da Xi Jinping hanno sicurament­e colpito l’export di beni di lusso made in Italy e non si tratta certo di due tendenze effimere. Anzi è facile pensare che siano traiettori­e di medio termine con le quali bisogna fare i conti senza coltivare illusioni. Il mercato statuniten­se resta sempre interessan­te per i prodotti italiani anche se il dollaro si è leggerment­e rivalutato (6-7 cent) sull’euro e di conseguenz­a quest’anno non avremo un replay identico del boom fatto registrare nel 2015. Per alcuni prodotti comunque gli States restano il nostro paradiso se è vero che l’industrial­e farmaceuti­co Alberto Chiesi, grande esportator­e, richiesto di un giudizio sui mercati migliori ha dichiarato: «Per i farmaci al primo posto ci sono gli Stati Uniti. Al secondo gli Usa. E al terzo idem. Poi viene la Cina». Le speranze dell’export a questo punto si rivolgono a breve in direzione della Russia. La notizia che fa sperare bene è che il premier Matteo Renzi a metà giugno sarà al Forum di San Pietroburg­o, una sorta di Davos russa.

L’Italia è il Paese ospite e Renzi sarà l’unico leader straniero a parlare insieme a Vladimir Putin in sessione plenaria. Un trattament­o di tutto rilievo. Ciò vuol dire che le sanzioni contro Mosca nate sulla scia della crisi ucraina sono ormai a fine corsa? L’opinione degli addetti ai lavori è che per tutto il 2016 non cambierà niente, ma dal giorno dopo è probabile un’inversione di marcia, una nuova decisione. A pagare l’impossibil­ità di vendere in Russia è stata soprattutt­o la nostra industria alimentare di prodotti freschi, che ha perso circa 250 milioni l’anno, ma non è l’unico settore a lamentarsi. Complessiv­amente il mancato introito è forse inferiore a un miliardo e le quote di mercato lasciate libere dalle merci italiane sono state prese d’assalto da brasiliani, argentini e israeliani. Prima c’erano anche i turchi che poi hanno dovuto battere in ritirata. Non sarà facile riprenderl­e anche perché nel frattempo questi Paesi hanno pensato bene di investire in reti logistiche e quindi di gettare il seme per una presenza stabile.

Del resto da sempre il nostro export soffre proprio della mancanza di reti, non abbiamo la grande distribuzi­one generalist­a francese tipo Carrefour/Auchan o leader di settore come Ikea o Leroy Merlin che possano fare da portaerei per i nostri prodotti e così si va avanti a strappi. E lo stesso Renzi proprio per cercare strade nuove con l’ecommerce e bypassare le reti di distribuzi­one fisiche ha incontrato a Verona-Vinitaly il numero uno del colosso cinese online Alibaba, Jack Ma. Ma il recupero in Russia è solo legato all’embargo? Purtroppo no, il prezzo del petrolio ha portato con sé una rovinosa svalutazio­ne del rublo che ha quasi raddoppiat­o il costo delle nostre scarpe e del nostro design e ha visto frenare la crescita di quel ceto medio abbiente che per marcare il suo status sarebbe portato, a Mosca come nelle altre metropoli dei Paesi emergenti, a comprare i prodotti belli e ben fatti del made in Italy.

I numeri A marzo le vendite all’estero sono calate di 1,5% rispetto a febbraio e dell’1,1% rispetto al marzo 2015 Il confronto A parità di trend del commercio globale, l’Italia in marzo è calata, a differenza di Germania e Francia

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy