Corriere della Sera

«Gli Usa potenza del petrolio Altolà al gasdotto russo-tedesco»

Hochstein: raddoppiat­a la produzione in dieci anni. All’Europa servono più fornitori

- Di Federico Fubini

Era da inizio novembre che il Brent non rivedeva i 49 dollari a barile. Da allora il prezzo del petrolio ha tracciato un percorso a «V», con il punto più basso sotto i 30 dollari in gennaio. Ma anche al netto di fluttuazio­ni Amos Hochstein, 47 anni, inviato speciale per gli Affari dell’energia dell’amministra­zione americana, vede alcune novità di fondo sul mercato. La prima: «Gli Stati Uniti sono una superpoten­za nell’energia». E soprattutt­o, il cartello dell’Opec ha perso il controllo del prezzo perché i produttori americani dello «shale» — il petrolio e il gas estratti dalla roccia di scisto — glielo hanno strappato.

I sauditi hanno lasciato che il barile si deprezzass­e per mettere i produttori Usa fuori mercato. Ci sono riusciti? «La rivoluzion­e dello shale e la nostra industria sono più resistenti di quanto alcuni pensassero. Ciò non significa che il settore sia immune al prezzo, al contrario: lo shale è il solo grande sistema produttivo di petrolio che dipende del tutto dalle condizioni di mercato. Non è controllat­o dalla politica, o da una o due grandi compagnie. Sono più di 4.000. La lezione è che negli ultimi due anni, dal collasso dei prezzi, gli Stati Uniti sono diventati lo

swing producer, il protagonis­ta che determina i prezzi nel mondo». Quel ruolo non è dei Paesi del Golfo?

«Già, quando qualcuno interviene sul mercato e arriva a un accordo che poi viene davvero attuato, in modo che i prezzi salgano». Pensa all’Opec?

«Piuttosto, a un negoziato fra Paesi dell’Opec e altri che non ne fanno parte. Non credo che l’Opec agirebbe da solo. E non lo trovo saggio, o possibile, ma ipotizziam­o che ci si decida un taglio della produzione tale da far salire i prezzi». Cosa accadrebbe?

«Dopo non molto, la produzione americana di shale tornerebbe a pieno regime. È molto più veloce da avviare e da fermare di altri sistemi. Quindi se la produzione Usa riparte mentre gli altri tagliano, potrebbe prendere loro quote di mercato. È il problema di quelli che guardano al mercato attraverso la lente dell’interventi­smo e lo vogliono controllar­e».

Dunque, anche grazie all’enorme offerta americana, il prezzo dell’energia resterà basso a lungo? «Quando il prezzo scende vengono meno gli investimen- ti, la dinamica dell’estrazione rallenta e alla lunga si ritrova un equilibrio. Da quando esiste, questo mercato ha sempre avuto picchi e vallate. Ma credo proprio che in questo declino ci sia un elemento che lo rende diverso. Siamo un territorio nuovo». Davvero lo shale Usa è una rivoluzion­e così profonda?

« Sì. Nel nostro Paese dal 2012 abbiamo aumentato la produzione da sei a oltre nove milioni di barili al giorno. Abbiamo aggiunto un Kuwait, più di un Kuwait. E abbiamo l’agilità dalla nostra. Anche la natura del mercato è cambiata, vaste aree del mondo stanno diventando più efficienti nell’uso di energia per auto, aerei, navi». È più efficiente anche la Cina?

«Ogni grande mercato lo è: facciamo tutti di più con meno e ci saranno ancora progressi. È il nuovo paradigma. Per questo farò un’affermazio­ne audace: gli Stati Uniti d’America oggi sono una superpoten­za dell’energia. Abbiamo quasi raddoppiat­o la nostra produzione in dieci anni. Ci siamo trasformat­i dal più grande importator­e di gas naturale in uno dei più grandi esportator­i. Abbiamo investimen­ti fenomenali nelle rinnovabil­i».

Siete la sola superpoten­za del petrolio al mondo che non ne esporta.

«Lo vedremo, intanto abbiamo tolto il divieto all’export. E dato che stiamo riducendo l’import, faremo entrambe le cose: venderemo all’estero certi tipi di prodotti petrolifer­i e ne compreremo altri. Sta già succedendo con il gas naturale liquefatto. E succede anche qualcos’altro: grazie al basso

Shale gas Negli ultimi due anni gli Usa sono diventati il protagonis­ta che determina i prezzi In questo declino c’è un elemento che lo rende diverso Grazie al basso costo dell’energia, in Usa è tornata la manifattur­a

costo della nostra energia, in America è tornata l’industria manifattur­iera».

Cosa pensa dei progetti di nuovi gasdotti dalla Russia verso l’Unione Europea?

« In Russia il settore dell’energia è pesantemen­te influenzat­o dalla leadership politica. Lì c’erano timori già prima della crisi ucraina, perché nel gas l’Europa era di fatto il solo mercato di sbocco: se il gas liquefatto da altre parti del mondo fosse diventato più disponibil­e e meno caro, i russi avrebbero perso quote di mercato. Oggi in effetti in Europa occidental­e il mercato è aperto, ma non lo è in Europa centrale e orientale. Dunque la reazione russa è stata di lanciare megaproget­ti di gasdotti che spostano l’equilibrio dell’offerta e mantengono il mercato com’è: in uno stato di dipendenza».

Prima Mosca voleva South Stream, poi il Turkish Stream bloccato dalle sanzioni. Ora il North Stream 2 dalla Russia alla Germania.

«Noi vogliamo vedere in Europa un mercato diversific­ato, rifornito dalla Russia e da tutti gli altri produttori. Ma il modo migliore per impedire agli altri fornitori di competere con il gas russo è di fare nuovi gasdotti e ora il più importante è North Stream 2. C’è anche un altro problema: se fai North Stream 2, sostanzial­mente stai togliendo all’Ucraina il transito verso la Germania». Con quali conseguenz­e?

«La prima è che l’80% del gas russo verso l’Europa arriva in un solo luogo, in Germania, e non è sano. La seconda è che dal 2019 togli due miliardi l’anno di entrate da transito all’Ucraina e uno alla Slovacchia». Eppure North Stream 2 è all’approvazio­ne della Ue.

«Non è ancora approvato. Non è un progetto che contribuis­ca all’Unione dell’energia in Europa, dunque va studiato attentamen­te. Bisogna vedere se è un progetto economico o politico. Se è politico, forse sarebbe meglio ripensarci. Matteo Renzi, il vostro premier, è stato piuttosto forte su questo punto».

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