«Gli Usa potenza del petrolio Altolà al gasdotto russo-tedesco»
Hochstein: raddoppiata la produzione in dieci anni. All’Europa servono più fornitori
Era da inizio novembre che il Brent non rivedeva i 49 dollari a barile. Da allora il prezzo del petrolio ha tracciato un percorso a «V», con il punto più basso sotto i 30 dollari in gennaio. Ma anche al netto di fluttuazioni Amos Hochstein, 47 anni, inviato speciale per gli Affari dell’energia dell’amministrazione americana, vede alcune novità di fondo sul mercato. La prima: «Gli Stati Uniti sono una superpotenza nell’energia». E soprattutto, il cartello dell’Opec ha perso il controllo del prezzo perché i produttori americani dello «shale» — il petrolio e il gas estratti dalla roccia di scisto — glielo hanno strappato.
I sauditi hanno lasciato che il barile si deprezzasse per mettere i produttori Usa fuori mercato. Ci sono riusciti? «La rivoluzione dello shale e la nostra industria sono più resistenti di quanto alcuni pensassero. Ciò non significa che il settore sia immune al prezzo, al contrario: lo shale è il solo grande sistema produttivo di petrolio che dipende del tutto dalle condizioni di mercato. Non è controllato dalla politica, o da una o due grandi compagnie. Sono più di 4.000. La lezione è che negli ultimi due anni, dal collasso dei prezzi, gli Stati Uniti sono diventati lo
swing producer, il protagonista che determina i prezzi nel mondo». Quel ruolo non è dei Paesi del Golfo?
«Già, quando qualcuno interviene sul mercato e arriva a un accordo che poi viene davvero attuato, in modo che i prezzi salgano». Pensa all’Opec?
«Piuttosto, a un negoziato fra Paesi dell’Opec e altri che non ne fanno parte. Non credo che l’Opec agirebbe da solo. E non lo trovo saggio, o possibile, ma ipotizziamo che ci si decida un taglio della produzione tale da far salire i prezzi». Cosa accadrebbe?
«Dopo non molto, la produzione americana di shale tornerebbe a pieno regime. È molto più veloce da avviare e da fermare di altri sistemi. Quindi se la produzione Usa riparte mentre gli altri tagliano, potrebbe prendere loro quote di mercato. È il problema di quelli che guardano al mercato attraverso la lente dell’interventismo e lo vogliono controllare».
Dunque, anche grazie all’enorme offerta americana, il prezzo dell’energia resterà basso a lungo? «Quando il prezzo scende vengono meno gli investimen- ti, la dinamica dell’estrazione rallenta e alla lunga si ritrova un equilibrio. Da quando esiste, questo mercato ha sempre avuto picchi e vallate. Ma credo proprio che in questo declino ci sia un elemento che lo rende diverso. Siamo un territorio nuovo». Davvero lo shale Usa è una rivoluzione così profonda?
« Sì. Nel nostro Paese dal 2012 abbiamo aumentato la produzione da sei a oltre nove milioni di barili al giorno. Abbiamo aggiunto un Kuwait, più di un Kuwait. E abbiamo l’agilità dalla nostra. Anche la natura del mercato è cambiata, vaste aree del mondo stanno diventando più efficienti nell’uso di energia per auto, aerei, navi». È più efficiente anche la Cina?
«Ogni grande mercato lo è: facciamo tutti di più con meno e ci saranno ancora progressi. È il nuovo paradigma. Per questo farò un’affermazione audace: gli Stati Uniti d’America oggi sono una superpotenza dell’energia. Abbiamo quasi raddoppiato la nostra produzione in dieci anni. Ci siamo trasformati dal più grande importatore di gas naturale in uno dei più grandi esportatori. Abbiamo investimenti fenomenali nelle rinnovabili».
Siete la sola superpotenza del petrolio al mondo che non ne esporta.
«Lo vedremo, intanto abbiamo tolto il divieto all’export. E dato che stiamo riducendo l’import, faremo entrambe le cose: venderemo all’estero certi tipi di prodotti petroliferi e ne compreremo altri. Sta già succedendo con il gas naturale liquefatto. E succede anche qualcos’altro: grazie al basso
Shale gas Negli ultimi due anni gli Usa sono diventati il protagonista che determina i prezzi In questo declino c’è un elemento che lo rende diverso Grazie al basso costo dell’energia, in Usa è tornata la manifattura
costo della nostra energia, in America è tornata l’industria manifatturiera».
Cosa pensa dei progetti di nuovi gasdotti dalla Russia verso l’Unione Europea?
« In Russia il settore dell’energia è pesantemente influenzato dalla leadership politica. Lì c’erano timori già prima della crisi ucraina, perché nel gas l’Europa era di fatto il solo mercato di sbocco: se il gas liquefatto da altre parti del mondo fosse diventato più disponibile e meno caro, i russi avrebbero perso quote di mercato. Oggi in effetti in Europa occidentale il mercato è aperto, ma non lo è in Europa centrale e orientale. Dunque la reazione russa è stata di lanciare megaprogetti di gasdotti che spostano l’equilibrio dell’offerta e mantengono il mercato com’è: in uno stato di dipendenza».
Prima Mosca voleva South Stream, poi il Turkish Stream bloccato dalle sanzioni. Ora il North Stream 2 dalla Russia alla Germania.
«Noi vogliamo vedere in Europa un mercato diversificato, rifornito dalla Russia e da tutti gli altri produttori. Ma il modo migliore per impedire agli altri fornitori di competere con il gas russo è di fare nuovi gasdotti e ora il più importante è North Stream 2. C’è anche un altro problema: se fai North Stream 2, sostanzialmente stai togliendo all’Ucraina il transito verso la Germania». Con quali conseguenze?
«La prima è che l’80% del gas russo verso l’Europa arriva in un solo luogo, in Germania, e non è sano. La seconda è che dal 2019 togli due miliardi l’anno di entrate da transito all’Ucraina e uno alla Slovacchia». Eppure North Stream 2 è all’approvazione della Ue.
«Non è ancora approvato. Non è un progetto che contribuisca all’Unione dell’energia in Europa, dunque va studiato attentamente. Bisogna vedere se è un progetto economico o politico. Se è politico, forse sarebbe meglio ripensarci. Matteo Renzi, il vostro premier, è stato piuttosto forte su questo punto».