Il ministro somalo: «Investite da noi Solo così eviteremo che i giovani rischino la vita nel Mediterraneo»
«Arriveranno milioni di migranti dall’Africa», avverte Abdusalam Omer, ministro degli Esteri della Somalia. «C’è un solo modo per evitare che questo esodo di massa si verifichi davvero e produca effetti drammatici. Bisogna creare lavoro nei Paesi africani. Offrire ai giovani opportunità che li convinca a restare». Il ministro somalo partecipa oggi alla Conferenza Italia-Africa che si tiene alla Farnesina con l’intervento del presidente Mattarella e del premier Renzi. Presenti i capi di 40 Paesi africani.
«Durante la Conferenza — annuncia il ministro Omer —, io chiederò al governo italiano di considerare le grandi opportunità che può offrire la Somalia per le aziende del vostro Paese. Abbiamo bisogno di energia solare, di tecnologia per costruire interi nuovi villaggi, ponti, aeroporti. Puntiamo su estrazione di idrocarburi, sfruttamento della pesca, valorizzazione delle nostre coste. Se riusciamo ad avviare questi progetti di sviluppo, molti giovani somali potrebbero trovare un lavoro e imparare un mestiere dai tecnici italiani. Solo così si può evitare che rischino la vita nel Mediterraneo». Perché si rivolge alle aziende italiane?
«Primo perché noi sappiamo di poterci fidare della loro professionalità, della serietà con cui operano. E poi perché fra i nostri due Paesi esiste un’affinità storica che ha un suo valore. I nostri popoli hanno fatto un pezzo di cammino insieme. Ci sono tanti somali che parlano italiano e hanno grande ammirazione per la nazione italiana». Cosa fa il vostro governo per impedire le partenze?
«Ci sforziamo di trattenerli. Ma è difficile fermarli se non c’è un futuro. Siamo tutti sotto pressione. Il termine migrazione ha talmente assunto un valore politico che tutti quelli che se ne occupano, in Africa e in Europa, vivono in continua tensione perché i loro elettori si aspettano soluzioni rapide».
Lei chiede alle aziende italiane di investire in Somalia. Ma il vostro è ancora un Paese instabile, tormentato da gruppi terroristici.
«Non è più così. La Somalia ha trovato un suo equilibrio, avremo elezioni entro l’anno. E riguardo ai terroristi di Al Shabaab, che vuol dire Gioventù, sono molto indeboliti». Però continuano a compiere attentati.
«Ormai colpiscono solo bersagli facili, una scuola, un ospedale, tanto per affermare la loro esistenza. Non sono molti, poche centinaia. Sul territorio somalo agiscono anche reparti di forze speciali americane che hanno inferto duri colpi a questi assassini. Ma la realtà di Mogadiscio non è diversa da quella di Parigi o di Giacarta. Voglio dire che ormai dovunque nel mondo può esplodere un ordigno, può sca- una sparatoria. Con le azioni dei killer noi dobbiamo imparare a convivere. Riguardo al terrorismo ho una mia idea». Ce la spieghi.
«Il terrorismo è una guerra mondiale. Per questo ci vuole un accordo al di sopra delle competenze nazionali. I singoli Paesi non lo possono sconfiggere da soli. Serve un’organizzazione internazionale dell’Onu che raccolga e scambi informazioni. Così terremo sotto controllo i sospetti e seguiremo le tracce dei foreign fighters, che sono i più pericolosi perché addestrati e abili nell’uso delle tecnologie».
Lei pensa che insieme con i migranti possano arrivare da noi anche terroristi?
«Sicuro. Ci sono molte possibilità che sulle imbarcazioni usate dai migranti viaggino anche terroristi intenzionati a compiere attacchi armati. Per questo insisto che è necessaria una raccolta centralizzata di informazioni. Solo così l’Italia può sapere se sta arrivando un personaggio pericoloso e lo può bloccare».
In Kenya c’è un campo profughi con circa 300 mila somali. Ora il Kenya vorrebbe chiuderlo.
« Col Kenya abbiamo un buon rapporto. Vedremo cosa fare. Intanto 80 mila profughi li abbiamo già fatti rientrare in Somalia».