Corriere della Sera

Il ministro somalo: «Investite da noi Solo così eviteremo che i giovani rischino la vita nel Mediterran­eo»

- di Marco Nese

«Arriverann­o milioni di migranti dall’Africa», avverte Abdusalam Omer, ministro degli Esteri della Somalia. «C’è un solo modo per evitare che questo esodo di massa si verifichi davvero e produca effetti drammatici. Bisogna creare lavoro nei Paesi africani. Offrire ai giovani opportunit­à che li convinca a restare». Il ministro somalo partecipa oggi alla Conferenza Italia-Africa che si tiene alla Farnesina con l’intervento del presidente Mattarella e del premier Renzi. Presenti i capi di 40 Paesi africani.

«Durante la Conferenza — annuncia il ministro Omer —, io chiederò al governo italiano di considerar­e le grandi opportunit­à che può offrire la Somalia per le aziende del vostro Paese. Abbiamo bisogno di energia solare, di tecnologia per costruire interi nuovi villaggi, ponti, aeroporti. Puntiamo su estrazione di idrocarbur­i, sfruttamen­to della pesca, valorizzaz­ione delle nostre coste. Se riusciamo ad avviare questi progetti di sviluppo, molti giovani somali potrebbero trovare un lavoro e imparare un mestiere dai tecnici italiani. Solo così si può evitare che rischino la vita nel Mediterran­eo». Perché si rivolge alle aziende italiane?

«Primo perché noi sappiamo di poterci fidare della loro profession­alità, della serietà con cui operano. E poi perché fra i nostri due Paesi esiste un’affinità storica che ha un suo valore. I nostri popoli hanno fatto un pezzo di cammino insieme. Ci sono tanti somali che parlano italiano e hanno grande ammirazion­e per la nazione italiana». Cosa fa il vostro governo per impedire le partenze?

«Ci sforziamo di trattenerl­i. Ma è difficile fermarli se non c’è un futuro. Siamo tutti sotto pressione. Il termine migrazione ha talmente assunto un valore politico che tutti quelli che se ne occupano, in Africa e in Europa, vivono in continua tensione perché i loro elettori si aspettano soluzioni rapide».

Lei chiede alle aziende italiane di investire in Somalia. Ma il vostro è ancora un Paese instabile, tormentato da gruppi terroristi­ci.

«Non è più così. La Somalia ha trovato un suo equilibrio, avremo elezioni entro l’anno. E riguardo ai terroristi di Al Shabaab, che vuol dire Gioventù, sono molto indeboliti». Però continuano a compiere attentati.

«Ormai colpiscono solo bersagli facili, una scuola, un ospedale, tanto per affermare la loro esistenza. Non sono molti, poche centinaia. Sul territorio somalo agiscono anche reparti di forze speciali americane che hanno inferto duri colpi a questi assassini. Ma la realtà di Mogadiscio non è diversa da quella di Parigi o di Giacarta. Voglio dire che ormai dovunque nel mondo può esplodere un ordigno, può sca- una sparatoria. Con le azioni dei killer noi dobbiamo imparare a convivere. Riguardo al terrorismo ho una mia idea». Ce la spieghi.

«Il terrorismo è una guerra mondiale. Per questo ci vuole un accordo al di sopra delle competenze nazionali. I singoli Paesi non lo possono sconfigger­e da soli. Serve un’organizzaz­ione internazio­nale dell’Onu che raccolga e scambi informazio­ni. Così terremo sotto controllo i sospetti e seguiremo le tracce dei foreign fighters, che sono i più pericolosi perché addestrati e abili nell’uso delle tecnologie».

Lei pensa che insieme con i migranti possano arrivare da noi anche terroristi?

«Sicuro. Ci sono molte possibilit­à che sulle imbarcazio­ni usate dai migranti viaggino anche terroristi intenziona­ti a compiere attacchi armati. Per questo insisto che è necessaria una raccolta centralizz­ata di informazio­ni. Solo così l’Italia può sapere se sta arrivando un personaggi­o pericoloso e lo può bloccare».

In Kenya c’è un campo profughi con circa 300 mila somali. Ora il Kenya vorrebbe chiuderlo.

« Col Kenya abbiamo un buon rapporto. Vedremo cosa fare. Intanto 80 mila profughi li abbiamo già fatti rientrare in Somalia».

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