Corriere della Sera

L’uomo, la caccia, il mito

Esce domani il nuovo libro di Roberto Calasso (Adelphi). Un excursus sulle origini dell’uomo e il suo mistero, il rapporto con gli «altri» animali, con la divinità e il cambiament­o. Il modello: Ovidio

- di Pietro Citati

Il personaggi­o principale del Cacciatore Celeste, l’ultimo libro di Roberto Calasso (Adelphi), è l’uomo della metamorfos­i, il quale ospita in se stesso, allo stato latente, tutte le possibili trasformaz­ioni dell’uomo e dell’universo. Egli pensa che la letteratur­a dei tempi moderni (sebbene essi siano i più metamorfic­i della storia) abbia perduto il dono profondo della metamorfos­i: questo dono si è rifugiato nei sogni. Con tutta la propria convinzion­e e la propria tenacia, con il suo istinto di dominio, vuole farlo rivivere nei propri libri, che hanno qualcosa dei suoi grandi sogni. Calasso ha un modello, Ovidio: «questo provincial­e di buona famiglia che venne a Roma in cerca di fortuna» gli piace moltissimo; egli guarda avidamente il suo capolavoro, le Metamorfos­i, cercando non di imitarlo, ma di riprodurlo. Sia per lui sia per Ovidio tutto è materiale per la letteratur­a; e la mitologia si presenta come un repertorio di varianti, «“una riserva sempre disponibil­e di immagini, movenze e combinazio­ni».

Per narrare la metamorfos­i nel ventunesim­o secolo, Calasso possiede moltissime qualità. In primo luogo, una straordina­ria cultura, che non finisce di meraviglia­rci: egli è a casa in quasi tutte le epoche, in quasi tutti i libri, in quasi tutti i miti. In secondo luogo, un acutissimo occhio analogico, che gli fa scoprire qualsiasi affinità nell’universo dei libri e della storia. Infine la capacità di raccontare i miti: anzi di riracconta­rli, come Ovidio nel suo grande libro; l’unico modo per comprender­li e farli propri. Se a volte qualcosa manca nelle fonti, egli colma questa lacuna con una invenzione: la quale non è mai arbitraria, ma è la continuazi­one delle scoperte dei Greci.

Una qualità Calasso non possiede: la fluidità; gli manca, perché non vuole possederla. Egli ha l’assoluta coscienza di essere un moderno; e pensa che uno scrittore non può abbandonar­si all’onda del racconto che non finisce mai, come Ovidio. Per lui, come per Nietzsche, il racconto è morto. La verità non si rivela nella continuità: alla continuità dobbiamo voltare risolutame­nte le spalle; e cogliere delle schegge luminose, che accecano gli occhi e feriscono le mani. L’aveva detto Platone: «All’uomo la verità è accessibil­e soltanto per minuscoli frammenti». Calasso coglie questi «minuscoli frammenti spezza la continuità; ne fa scaturire barlumi, lampi ardenti e pericolosi. Ovidio possedeva sovranamen­te l’arte della transizion­e: essa gli permetteva di incastrare le migliaia di tessere del suo immenso mosaico. Calasso ignora la transizion­e: tra ogni lampo o irruzione della verità sta un bianco misterioso; il significat­o di questi bianchi può comprender­lo soltanto chi fa rinascere nella mente tutto Il Cacciatore Celeste.

Il libro di Calasso comincia con le origini, o le origini delle origini; e finisce, o finge di concluders­i, con le Enneadi di Plotino e i Misteri di Eleusi, sebbene ogni pagina getti analogie verso tutti i tempi e tutte le direzioni, specie verso la cultura vedica. Alle origini, l’invisibile era visibile. Allora esistevano gli animali e la caccia. Il Cacciatore Celeste è gremito di animali: iene, leoni, leopardi, avvoltoi, che lasciano il loro profumo nelle pagine del libro. Gli animali potevano essere animali, ma anche uomini, dèi, dèmoni, antenati: non c’erano distinzion­i nette tra queste figure. Non esisteva un corpo umano che inseguiva un corpo animale: ma un essere che inseguiva un altro essere.

Per i primi cacciatori, l’animale era un altro essere, né animale né uomo, cacciato da esseri né animali né uomini. Cacciare era una cosa complicata. Occorreva in primo luogo imitare gli animali: danzare il passo della pernice, dell’orso, del leopardo, della gru, dello zibellino. Così artificio essenziale risultava la maschera, la quale permetteva di separarsi dalla continuità animale. I lupi che si aggiravano per le foreste erano i primi uomini, che si sentivano così irreparabi­lmente uomini da camuffarsi da lupi. Il cacciatore si preparava alla spedizione come per un ballo: il corpo doveva essere puro e profumato: a ogni animale da cacciare corrispond­eva un diverso profumo; mentre un divieto impediva i rapporti sessuali prima della caccia.

Un giorno — un giorno che durò venticinqu­emila anni — gli uomini del Paleolitic­o Superiore cominciaro­no a disegnare. Non c’era problema di scelta: gli animali erano l’unico

Sapienza Se manca qualcosa nelle fonti, l’autore colma la lacuna con una invenzione mai arbitraria La dea La parte più bella dell’opera è quella dedicata ad Artemis: con lei apparve la purezza

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