Corriere della Sera

«L’ho scritto nel testamento: non voglio biografie su di me»

- DALLA NOSTRA INVIATA S. U.

«Mi sono riconosciu­to in tutti personaggi dei miei 20 film. La mia vita è tutta lì. Non ho mai scritto una biografia e non lo farò mai. Lascio nel testamento che non voglio un biopic su di me. Per favore, vigilate anche voi». In effetti c’è un po’ di Pedro Almodóvar anche in Julieta, suo quinto film a Cannes («Allen e Spielberg fuori concorso? Io non ho il loro talento. La gara è più eccitante e così dimostro di non essere una vacca sacra»). La stessa donna, ispirata ai racconti di Alice Munro, ritratta a distanza di decenni, costretta dalla vita a fare i conti con abbandono e senso di colpa. Adriana Ugarte a 20 anni, Emma Suaréz dopo i 50. «Il mio cuore è in sintonia con la maturità di Emma. La sua solitudine riflette la mia». A 66 anni il regista si misura con il tempo che passa. «La penso come Philip Roth, la vecchiaia non è una battaglia, è un massacro. Ma non sono un nostalgico».

Se lo avesse girato anni fa, spiega, Julieta sarebbe stato più sbilanciat­o sulla giovane donna («libera come le ragazze degli anni 80»). «Ho raccontato tante madri, forti e combattive. Questa à la più vulnerabil­e, vittima di perdite irreparabi­li. La sua è una resistenza passiva». Ha tenuto il freno tirato, racconta, Julieta non è un «Almodramma

Secco, severo, giocato sui silenzi. Scarno anche il commento musicale, affidato alla voce di Chavela Vargas, sua grande amica scomparsa quattro anni fa. «Si tu te vas / en ese mismo instante / muero yo». E i Panama papers? «Se fossero un film, io e mio fratello Augustin non saremmo neanche nei titoli di coda, semplici comparse. Ma la stampa spagnola ha trattato il caso come se fossimo i protagonis­ti. Ma ancora nessuno ci ha spiegato perché i nostri nomi sono finiti lì in mezzo».

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