Corriere della Sera

Giro stravolto, vola Ciccone Brambilla, assist rosa a Jungels Nibali «superato» da Valverde

- DALLA NOSTRA INVIATA Gaia Piccardi

Sulla montagna di Alberto Tomba succedono (anche) cose antiche. Saranno i quattro Gran premi, la strada che s’impenna o forse la sagoma barbuta di Francesco Guccini che attende con un fiasco di lambrusco il gruppo a Pavana, casa sua, sull’Appennino emiliano, a ispirare la meglio gioventù del ciclismo italiano: Giulio Ciccone, 21 anni, dall’Abruzzo con furore, parte in fuga sull’ultima discesa («Dove non sono un drago») e si regala una giornata da fenomeno mentre alle sue spalle, intruppato nel fermo immagine che Nibali e Valverde si concedono per non sprecare nemmeno una stilla di energia in vista delle Dolomiti, la maglia rosa Gianluca Brambilla tira il capitano della Etixx Bob Jungels, 23 anni, per eccesso di altruismo: «Ho deciso di lavorare per lui: nessuno me l’ha chiesto. La squadra si era data da fare per me sull’Alpe di Poti e volevo ricambiare». Jungels ringrazia: in cima ai 219 km da Campi Bisenzio a Sestola, teatro della crisi senza ritorno di Mikel Landa, appiedato da una gastroente­rite fulminante, il Lussemburg­hese pare Charly Gaul al Giro del ’59, per restare in tema di vecchi merletti.

Basta un giorno di riposo e la corsa si ritrova stravolta. Erano in tre, Nibali-Valverde-Landa; dopo l’ennesimo k.o. tecnico di un uomo Sky (Chris Froome al Tour 2014, Richie Porte l’anno scorso su questi schermi) restano il diesel spagnolo e il siciliano fiero, che non ha gradito lo sprintino isterico del rivale sul traguardo. Altri 4’’ ceduti, con Valverde che gli ripassa davanti in classifica.

Il beau geste del sior Brambilla non oscura l’impresa del ragazzo che fa rima con una pop star («I Ciccone in Abruzzo abbondano: io sono di Rieti, Madonna di Pacentro, lì vicino, però non mi risulta che siamo parenti, però vorrei conoscerla…»), re di tappa a cinque mesi dal passaggio al profession­ismo con la Bardiani, la squadra

all italian che manda all’attacco Pirazzi, Boem e Giulio il freddo, scalatore in nome dell’idolo Pantani e curioso della storia del suo sport: «Ne sono affascinat­o, so che nel passato sono successe cose importanti» dice sotto l’ombra dei baffetti che lo fanno sembrare più grande anche se sul podio, bramato per contratto dalle miss, ha la statura di un gigante.

Sulle montagne che frantumano il gruppo in mille pezzi, Ciccone pedala come se non ci fosse un domani. «Avevamo studiato l’azione con il d.s. Reverberi in mattinata. È andata meglio del previsto». L’anno scorso correva nella Colpack, il team per cui si è trasferito da Chieti a Bergamo, il profondo Nord dove ha trovato contratto (biennale), morosa (Anna) e futuro. «Sono in una bolla, sto sognando, questa è la giornata più bella della mia vita. Ho iniziato tra i dilettanti, facendo tutta la trafila. Vincendo la prima corsa al Giro realizzo il mio desiderio più grande». Tra arrosticin­i e polenta taragna non sa scegliere, però è lucido abbastanza da sapere che non tutte le salite del Giro saranno incantate come quella di Sestola: «Le Dolomiti? Non ci ho mai pedalato». Attacchera­i anche là, gli chiedono: «Eh, non so come reagirò dopo questo successo». Ciccone ma senza manie di grandezza. «A questa età non posso avere certezze» sorride. Non ne ha nemmeno questo Giro che perde pezzi per strada (Kittel, Cancellara, Landa) e s’innamora, per un giorno, di un bambino col cognome da grande.

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