Corriere della Sera

«Quei colpi e ho pensato: è la fine Ora so che sono con gli onesti»

Il racconto: non mi fanno tacere, ma in auto temevo di non rivedere i miei cari

- Alessio Ribaudo F. B.

capo area per la Sicilia di un gruppo bancario. Certo, non avrebbe immaginato, quando è stato nominato alla guida del Parco, di aver trasformat­a la vita in un inferno. «Ma se pensano di mettermi a tacere con il piombo delle pallottole che mi hanno sparato ieri si sbagliano di grosso».

Si è mai sentito solo?

«No, oltre alla mia famiglia ho amici fantastici che in questi anni complicati non mi hanno mai lasciato solo e sono con me anche in queste ore. Poi, ho vicine le istituzion­i che mi fanno sentire protetto».

Ha pensato a dimettersi dall’incarico?

«No. Anzi, questa esperienza mi fa pensare ancora di più che sto combattend­o dalla parte giusta: quella dei tanti siciliani onesti che lottano ogni giorno per il riscatto di questa terra, costi quel che costi. Sono convinto che con i miei atti abbiamo toccato interessi enormi e loro hanno reagito sparando».

Loro chi? Chi pensa che possa aver sparato?

«Sono stato interrogat­o per sei ore dalla direzione investigat­iva antimafia e sono certo che gli inquirenti daranno risposte immediate. Io non conosco le facce di chi ha premuto il grilletto ma credo di intraveder­e i loro mandanti: i mafiosi che hanno nei pascoli dei Nebrodi interessi milionari. Soldi che la mia presidenza ha fatto andare in fumo grazie anche alla creazione del primo protocollo di legalità in Italia studiato appositame­nte per recidere le infiltrazi­oni mafiose dai nostri terreni».

Come funziona il protocollo di legalità?

«Blocca il sistema “facile” con cui la mafia si finanziava e «agli altri colleghi ancor più recentemen­te destinatar­i di notizie riguardant­i progetti di attentati» e non trascura di sottolinea­re «ripetute segnalazio­ni ai competenti organi provincial­i in tema di sicurezza pubblica, fin qui rimaste inevase», mettendo quindi nero su bianco quel clima se non di aperta polemica sicurament­e di gelo, tra i pm e la prefettura di Napoli, responsabi­le dell’assegnazio­ne (e quindi anche della mancata assegnazio­ne) delle scorte ai magistrati della Dda.

Bisogna superare «un approccio burocratic­o al tema della sicurezza dei magistrati» e «stanziare nell’immediato i necessari fondi», si legge ancora. «Non è possibile né appare conforme alla ratio della normativa vigente — scrivono i pm — disporre interventi di tutela solo dopo la scoperta di progetti di attentati, in stadio più o meno avanzato, poiché tale impostazio­ne appare legata Insieme Giuseppe Antoci stringe la mano al vicequesto­re aggiunto Daniele Manganaro (foto Giuseppe Romeo) grazie alle truffe agricole. Sottraendo a onesti imprendito­ri cifre milionarie. Impedendo la crescita di aziende sane. Per questo hanno reagito».

Le minacce quando sono iniziate?

fermato. Così a novembre è stata bloccata una busta con cinque proiettili».

Ha avuto paura?

«No. Alla prima gara dopo la firma del protocollo mi ero insospetti­to e ho inviato le carte al prefetto di Messina per il controllo delle varie autocertif­icazioni antimafia. Neanche a dirlo, sono state emesse quattro interditti­ve antimafia che hanno retto anche all’esame del Tar di Catania. Presto un protocollo simile potrebbe essere adottato dal Consiglio regionale calabrese. Per questo, non escludo che la ‘ndrangheta possa aver preso parte al commando di ieri. Un agguato così efferato, da queste parti, non si vedeva da 30 anni. Ma io vado avanti». a scoperte spesso casuali e perciò è da ritenersi inefficace. Né tantomeno è condivisib­ile l’adozione di forme di tutela provvisori­e, cioè legate alla mera celebrazio­ne di un determinat­o processo, proprio per la strategia di lungo periodo della gran parte delle organizzaz­ioni di tipo mafioso».

Organizzaz­ioni in questo momento particolar­mente attive a Napoli e negli altri territori che rientrano nella competenze della Dda (che si occupa anche dei clan casalesi). È quindi chiara «la sovraespos­izione dell’intera Procura di Napoli», che, attraverso il documento dei pm antimafia, chiede ora gli stessi «sistemi di tutela dei colleghi della Dna (la Direzione nazionale antimafia, ndr) e di altre Dda».

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