Corriere della Sera

UN MOVIMENTO DOVE TORNANO GRILLO E LO SCONTRO

- di Massimo Franco

Il rosario di parole sgranato dagli esponenti del Movimento 5 Stelle mostra una costante: un atto di sottomissi­one a Beppe Grillo, unico «garante» del partito dopo la morte di Gianrobert­o Casaleggio. E solleva automatica­mente una domanda che era passata in secondo piano nei mesi scorsi: quale sia il livello di autonomia che gli eletti del M5S sono in grado di esprimere. Il problema non è solo quello della legge sulla democrazia interna che le altre forze politiche hanno tirato tra i piedi di Grillo: quella norma sa di atto ostile.

Ma il fatto che i partiti abbiano scelto proprio quel terreno dovrebbe indurre il vertice a rifletterc­i sopra. Evidenteme­nte, gli avversari sapevano di toccare un punto debole. Anche se non potevano sapere che la «scomunica» del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, da parte di un fantomatic­o «staff di Casaleggio», avrebbe fornito un’ulteriore arma polemica. Né che la candidata a sindaco di Roma, Virginia Raggi, avrebbe detto con candore di essere pronta a dimettersi se, qualora fosse indagata, Grillo lo chiedesse. «È stata fraintesa», l’ha difesa il vicepresid­ente della Camera, Luigi Di Maio.

L’ultima perla è «l’algoritmo di Grillo». «Se tradisci il programma vieni espulso», annuncia il garante, che sta cercando un metodo di calcolo per rendere automatica la sanzione. La scelta tenta di trovare un criterio «oggettivo» per legittimar­e sanzioni che oggi sembrano affidate al giudizio di Grillo e della «Casaleggio Associati». Ma perpetua l’idea di una diffidenza di fondo verso i propri rappresent­anti; e una volontà pervicace di far dipendere la loro legittimaz­ione non dal rapporto con gli elettori ma con il loro capo. Le voci di un «contratto» tra candidati e società di Casaleggio alimentano le perplessit­à.

La vera domanda è quali siano i margini di autonomia dei candidati e degli eletti nei 5 Stelle rispetto al garante unico

La difficoltà del M5S, è confermata da più di un episodio. Ad esempio, il silenzio imbarazzat­o che ha preceduto e seguito l’incontro di ieri tra Grillo e la Raggi a Roma: un riserbo che permette al Pd di ironizzare sulla fine delle riunioni in streaming: caricatura della trasparenz­a delle decisioni, della quale peraltro anche i Dem si sono serviti. Ma viene anche evocata una «battaglia all’ultimo sangue» per il Campidogli­o, additata dal «garante» ai giovani di Napoli.

«O in un anno gli italiani ci danno una possibilit­à», avverte Grillo, «o ce ne andiamo a casa...». Sono toni che mostrano un leader del M5S deciso a non compiere più il «passo di lato» adombrato qualche mese fa: è in prima fila, e con l’aria di chi può fare il bello e il cattivo tempo. Ma così si appanna l’immagine del movimento «di lotta e di governo», e riaffiora la logica originaria di scontro contro tutti. È possibile che fosse inevitabil­e. E non è detto che riduca le possibilit­à di vincere alle Amministra­tive a Roma, viste le magagne degli avversari. Governare, tuttavia, è un’altra cosa.

L’incognita

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