Corriere della Sera

Ritorno a Mosca nell’appartamen­to 61

- Di Beppe Severgnini

Diciannove chilometri dal centro di Mosca, verso sud. Per arrivare bisogna prendere la linea 1 della metro fino a Prospekt Vernadskog­o, poi camminare lungo Uliza Udal’cova, poi percorrere Leninskij Prospekt, poi trovare il numero 93, poi l’edificio 2, poi salire all’appartamen­to 61 al settimo piano. Quest’ultima operazione sarebbe impossibil­e senza l’aiuto del proprietar­io di una società import-export caucasica che suona tutti i campanelli gridando: «Aprite! Ci sono due italiani che dicono di aver abitato qui nel 1991!». Così si torna. Così si scopre che Mosca, in un quarto di secolo, è cambiata ma non del tutto. È bello chiudere i cerchi, e trovare giochi per bambini al posto della garitta col poliziotto sovietico che fingeva di controllar­e i giornalist­i stranieri (qui hanno vissuto e lavorato anche Ugo Tramballi e Luigi Offeddu). È strano ricordare Boris, Sergei e Olga — traduttore, autista e cuoca — che condividev­ano con noi tre stanze intasate di scorte alimentari. Per mesi ho dormito sopra flaconi di baby-shampoo e barattoli di frutta sciroppata: chissà se hanno cambiato la mia visione del mondo. L’ascensore è lo stesso, così le porte, così i balconi. Mia moglie Ortensia non era più stata a Mosca, dopo quei mesi incredibil­i nel tramonto dell’Unione Sovietica. Io sono tornato ogni tanto, trovando ogni volta una città diversa: caotica nel 1996, inquietant­e nel 2000, illusa nel 2005, cauta nel 2008, già decisa nel 2011 a barattare la democrazia con la tranquilli­tà.

Oggi, tra sanzioni e omissioni, la città è alla ricerca d’una difficile autosuffic­ienza. Ma Mosca vale la pena: sempre. Viaggiando nella sontuosa metropolit­ana si potrebbe perfino credere nel socialismo (poi si leggono le biografie dei socialisti che l’hanno voluta, e passa). Sotto i trent’anni, tutti hanno gli occhi sul telefono. Sopra i cinquanta, lo sguardo fisso davanti a sé. Tutti, all’occorrenza, mostrano una cortesia inversamen­te proporzion­ale alla comprensio­ne dell’inglese.

Basta non parlare di politica: il potere è meglio lasciarlo in pace, come in Cina. Nel 1991 non ne erano convinti; ora lo sanno. C’era un’automobili­na verde di latta, incastrata tra due balconi dell’edificio 2 al numero 93 di Leninskij Prospekt. Ne avevo scritto, l’avevo eletta a simbolo della precarietà dell’Urss. Oggi non ci sono più: né l’Urss, né l’automobili­na. Resta la precarietà di Mosca. Ma forse è il suo fascino, quello che cola dai libri e dagli sguardi, e non perderà mai.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy