Corriere della Sera

Boldrini: sul referendum no agli scontri di parte

La presidente della Camera: non è sul governo

- Di Monica Guerzoni

La presidente della Camera Laura Boldrini al Corriere: il referendum costituzio­nale di ottobre non è sul governo, no a scontri di parte.

Novecento ragazzi nell’aula di Montecitor­io, tra studenti, scout e volontari del servizio civile. E quando la cerimonia del 2 Giugno finisce parte l’assalto dei giovani per scattarsi un selfie con Laura Boldrini. La chiamano per nome, le chiedono di voltarsi o di sorridere, neanche fosse un’attrice sul tappeto rosso della Croisette di Cannes e non la terza carica dello Stato. Una piccola prova di resistenza per la presidente della Camera, che riemerge dall’onda provata, ma contenta per come è andata: «C’è una Italia positiva, costruttiv­a, che è migliore di quanto noi a volte avvertiamo, perché non fa notizia. Sono assolutame­nte d’accordo con il presidente Sergio Mattarella».

I ragazzi hanno ricevuto una copia della Costituzio­ne, lei pensa che sia ancora la «più bella del mondo»?

«Questi ragazzi hanno lavorato sulla Costituzio­ne, sono modelli davvero positivi. Dedicano ore del proprio tempo a chi ne ha bisogno, si occupano di ambiente, del sociale e vanno valorizzat­i per questo. Da due anni apro Montecitor­io il 2 giugno per dare un riconoscim­ento a tutti coloro che decidono di occuparsi del Paese e a loro dico, “anche voi siete la Repubblica, voi traducete i valori della nostra Carta in azioni concrete”».

I 70 anni del voto alle donne sono stati celebrati con grande commozione. Eppure l’astensione dalle urne è al massimo storico.

«Al 1946 siamo arrivate non per gentile concession­e, ma grazie a tante donne straordina­rie che hanno combattuto con perseveran­za per quel risultato. E anche grazie a uomini come il deputato mazziniano Salvatore Morelli, che nel 1867 presentò una proposta di legge contro la schiavitù domestica, il divorzio e per il voto alle donne. Quasi gli farei fare un busto, qui alla Camera».

Un busto per Morelli?

«È lui il mio eroe maschile. Per le sue idee si condannò al pubblico ludibrio. Nei resoconti parlamenta­ri dei suoi interventi in Aula si legge “ilarità, risatine, sommovimen­ti”. La satira lo ritraeva vestito da donna... Un uomo molto avanti e dalla parte delle donne. Ne abbiamo bisogno anche oggi, di uomini così. Ecco, vorrei mandare un messaggio forte e chiaro agli uomini».

Si riferisce all’omicidio di Sara, ai tragici, ultimi femminicid­i?

«Sì, mi riferisco a questo. Agli uomini che, come noi, sono inorriditi, voglio chiedere di non lasciarci sole in questa battaglia di civiltà. Ai violenti voglio dire rassegnate­vi, fatevene una ragione, perché noi donne e le nostre ragazze non rinuncerem­o mai ai nostri diritti, mai limiteremo la nostra libertà. Nulla, nemmeno i metodi violenti, ci faranno tornare indietro».

Non crede che anche la politica usi a volte toni troppo accesi?

«Bisognereb­be abbassare i toni del dibattito pubblico. C’è chi usa un modo aggressivo e sprezzante di esprimersi, specialmen­te verso le donne, pensando sempre di delegittim­arle. E questo ha un peso. Chi ha responsabi­lità politiche dovrebbe stare attento due volte, sennò rischia di innescare un sistema di emulazione. Anche la pubblicità e la tv dovrebbero evitare di esporre la donna rendendola oggetto. E bisognereb­be cambiare il modo di parlare alle donne e di guardarle. Evitando, quando non si è d’accordo, di rivolgersi a loro con epiteti sessuali».

Lei sprona gli italiani a votare. Vale anche per le amministra­tive, visto che il governo sembra puntare molto più sul referendum?

«Sì, per me è un valore sempre. Io l’ho detto in occasione del referendum sulle trivelle, lo dico adesso per le amministra­tive e lo dirò per la riforma costituzio­nale. Non cambio idea a seconda dell’appuntamen­to».

L’astensione è al massimo storico...

«La democrazia non si alimenta da sola, se la lasciamo andare cade, come quando si va in bicicletta. Bisogna pedalare per rimanere in sella. Il voto è un diritto e anche un dovere. Non è un dono, è una conquista. Tanti si sono sacrificat­i per questo, sono morti o hanno dato gli anni migliori della giovinezza. Anche chi non si sente pienamente rappresent­ato ha comunque il dovere di esprimersi con il voto, altrimenti perde il diritto di lamentarsi».

La nostra democrazia è in pericolo?

« Non direi proprio. Allo stesso tempo però ritengo che il minimo che il cittadino deve fare è andare a votare. E comunque non basta, bisogna regalare tempo ed energie al bene comune. Se ognuno di noi regalasse un’ora alle persone sole, agli anziani, a recuperare uno spazio verde non vivremmo in un Paese diverso? Invece a volte rischia di prevalere l’individual­ismo, abbiamo bisogno di più spinta ideale per cambiare le cose».

Se passa il referendum, la Costituzio­ne cambierà. Da una parte c’è il governo, che spinge per il sì e ne fa uno spartiacqu­e tra il prima e il dopo. Dall’altra il fronte del no e quanti chiedono che non sia un «armageddon».

«Bisogna stare ai fatti, senza caricare questo voto di altri significat­i. Noi come italiani ci dovremmo esprimere sul merito della riforma, che è la Costituzio­ne. Il referendum di ottobre non può diventare un test sul governo, non è nelle cose. Stiamo parlando della Costituzio­ne italiana. E qui anche i giornalist­i dovrebbero riuscire a non schierarsi, sforzandos­i di mettere i cittadini in condizioni di comprender­e il merito».

Vede il rischio di dividere l’Italia tra chi vuole cambiarla in meglio e chi vuole che tutto resti com’è?

«Durante l’iter parlamenta­re tutti i partiti condividev­ano la necessità di rivedere la Carta e la legge elettorale. C’era chi si batteva per ridurre anche il numero dei deputati, chi sosteneva che fosse meglio abolire il Senato e chi spingeva perché i senatori fossero eletti direttamen­te. È stato un confronto tra posizioni diverse,

Votare è un dovere L’ho detto per le trivelle non cambio idea a seconda del tema Le «tifoserie»

«Evitiamo le tifoserie. Il premier con il No si dimette? La riforma non va legata al suo futuro»

non tra chi voleva cambiare e i conservato­ri. Nessuno voleva che il bicamerali­smo paritario restasse com’è. Il Parlamento ha approvato la legge e ora il testimone passa agli italiani».

Condivide gli appelli ad abbassare i toni dello scontro politico?

« La Costituzio­ne non la cambi a ogni legislatur­a, ma quando è strettamen­te necessario e spesso passano tanti anni tra un intervento e l’altro. E quindi, come ha scritto il direttore Luciano Fontana sul Corriere, giù i toni e no alle tifoserie. Anche perché gli effetti delle riforme si capiscono fino in fondo solo quando vengono messe in atto».

«O cambio l’Italia, o cambio mestiere», ripete il premier. Se vince il no, Matteo Renzi deve dimettersi?

«Io non credo che la questione vada messa in questi termini, per me il quesito è sulla Costituzio­ne e lì mi fermo. Non si dovrebbe caricare di significat­o politico questo referendum. Non si dovrebbe legare la revisione della Carta al futuro politico di chi oggi è al governo».

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Alla parata I presidenti di Senato e Camera Pietro Grasso e Laura Boldrini col premier Matteo Renzi (Di Vita)

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