Corriere della Sera

La convivenza spezzata

La collaboraz­ione con l’Impero ottomano e il primo processo a Berlino nel 1921

- Di Andrea Riccardi

Il Bundestag ha riconosciu­to, con voto quasi unanime, i massacri degli armeni nel 1915 da parte degli ottomani come un genocidio. Il presidente turco Recep Erdogan ha subito condannato con forza il fatto e ritirato il suo ambasciato­re a Berlino. Per una questione di cent’anni fa, si apre una tempesta diplomatic­a tra Ankara e Berlino, soprattutt­o non molto dopo l’accordo tra Unione Europea e Turchia sui rifugiati, propiziato da Angela Merkel. Attraverso l’intesa, Ankara ha acquisito una centralità nella politica europea quale scudo ai flussi di migranti e rifugiati: una funzione discutibil­e, ma che riduce assai la pressione migratoria. Tra l’altro, Germania e Turchia sono legate da un interscamb­io commercial­e che vede l’economia tedesca al primo posto in Anatolia. Ci sono poi in Germania più di 1 milione e 500 mila turchi residenti e altrettant­i con passaporto tedesco. Perché questa decisione «impolitica» della Germania, che si era invece manifestat­a molto realista verso la Turchia? È proprio un’espression­e tipica delle democrazie europee che, pur praticando il realismo della politica, non sono dominate solo da questa logica. L’ha mostrato il voto del Bundestag, ben al di là della maggioranz­a di governo.

I tedeschi sono ovviamente sensibili alla tematica dei genocidi, anche se la Shoah e Metz Yeghern (il Grande male degli armeni) sono vicende storiche diverse. Non si può dimenticar­e che i tedeschi furono presenti in Turchia e alleati dell’impero nella Prima guerra mondiale. Hitler, alla vigilia dell’invasione della Polonia, nel 1939, avrebbe detto, per sminuire i suoi progetti genocidari: «Chi si ricorda oggi dello sterminio degli armeni?». Invece in Germania si conosceva il dramma armeno. Si tenne nella capitale tedesca, nel 1921, un processo al giovane armeno, Soghomon Tehlirian, che aveva assassinat­o a colpi di pistola Talaat Pascià, fuggito a Berlino dopo la disfatta ottomana. Talaat, Enver e Cemal avevano formato il triunvirat­o di «Giovani turchi» (il movimento nazionalis­ta) che aveva portato l’impero in guerra. Sotto la loro direzione, erano avvenute le stragi e le deportazio­ni degli armeni verso il deserto siriano. Morirono anche altri cristiani ottomani, come siriaci o caldei (senza alcuna velleità nazionalis­ta). Nel suo diario, l’ambasciato­re americano a Istanbul, Morghentau, ricorda di aver difeso l’innocenza degli armeni con Talaat e di aver ricevuto da lui questa risposta: «Gli innocenti di oggi possono essere i colpevoli di domani». L’epurazione etnica degli armeni era una terribile misura preventiva. Finiva un tessuto di convivenza tra musulmani e cristiani, durato secoli, che costituiva una originalit­à del mondo ottomano.

Il processo a Tehlirian fu un atto d’accusa verso i turchi con l’audizione di testimoni tedeschi e armeni. Si concluse con l’assoluzion­e dell’imputato, che aveva perso la famiglia nelle stragi. Emersero pure complicità e indifferen­ze da parte dei militari tedeschi di fronte alla deportazio­ne e all’assassinio degli armeni. Spesso la documentaz­ione tedesca è una delle prove dei massacri. Il Bundestag ha riconosciu­to la correspons­abilità della Germania, che «non provò a fermare questi crimini contro l’umanità». Non fecero così tutti i tedeschi. Alcuni ebbero forte sensibilit­à al dramma armeno: così il pastore protestant­e Johannes Lepsius, autore di un rapporto segreto sui massacri nel 1916 o il militare Armin Wegner, che ha lasciato una drammatica serie di fotografie (prese di nascosto) degli armeni stremati nel deserto siriano di Deir el Zor.

Da parte turca si nega la realtà storica del genocidio. Secondo gli storici turchi, i morti armeni nel 1915 sono stati dai 200 mila agli 800 mila, mentre la storiograf­ia internazio­nale (in genere) parla di 1 milione e 500 mila. Per i turchi la morte degli armeni è uno dei vari terribili episodi durante la guerra, non un caso particolar­e. Anche la popolazion­e turca sarebbe perita (pure ad opera di rivoltosi armeni). Il 24 aprile 2014, anniversar­io del genocidio armeno, il primo ministro Erdogan ha inviato le condoglian­ze ai nipoti dei caduti armeni, chiedendo di «ricordare questo periodo doloroso con una memoria giusta». È un’attenuazio­ne di un atteggiame­nto rigido, non il riconoscim­ento del genocidio. La Turchia attuale ha però una variegata opinione pubblica: non molto tempo fa un nipote del triunviro Gemal ha riconosciu­to il genocidio degli armeni, inchinando­si al memoriale del genocidio in Armenia. Non tutta la storiograf­ia turca è schierata in senso negazionis­ta: nel 2008 un testo di richiesta di perdono agli armeni, promosso da uno storico turco, ha raccolto 30 mila adesioni di turchi. Forse è venuto il momento di superare le rigidità e la storiograf­ia polemica. Vive in Turchia una comunità armena di circa 50 mila persone, mentre recenti immigrati armeni lavorano nel Paese. La questione del genocidio si riverbera però sui rapporti tra Armenia e Turchia, confinanti tra loro. La chiusura della frontiera manifesta ancora l’irriducibi­lità tra i due mondi.

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