Corriere della Sera

«Segnale importante Lo dimostra la reazione furiosa dei turchi»

- Alessandra Coppola

Sono cento e un anno eppure c’è ancora bisogno di ribadirlo: «Non è stata una strage, per quanto grave; non si è trattato di un massacro come pure ce n’erano stati alla fine dell’Ottocento ad opera del Sultano Rosso. Nel 1915 il popolo armeno ha subito un genocidio».

Antonia Arslan, che cosa significa usare questo termine — genocidio — per indicare la morte di un milione e mezzo di armeni sotto l’Impero ottomano?

«Vuol dire che si è trattato di uno sterminio pianificat­o dall’alto, da un governo. Come poi succederà per gli ebrei, o in Ucraina, o ancora in Ruanda. Lo sterminio di una minoranza per motivi etnici, politici o religiosi». Arslan lo sa per vicenda personale, discendent­e del giovane armeno che venne a studiare medicina tra Padova e Parigi e si salvò per la guerra che gli impedì di tornare in Turchia. Ma lo ha appreso anche attraverso gli studi confluiti in saggi e nel romanzo, tra gli altri, «La masseria delle allodole» (Rizzoli, 2004), da cui i fratelli Taviani hanno tratto un omonimo film (2007). Della votazione del Bundestag viene a conoscenza in traghetto, in Laguna: «Pensi che sto andando all’Isola degli Armeni (San Lazzaro, concessa nel ‘700 dalla Repubblica di Venezia a un gruppo di monaci in fuga dalla Grecia, ndr), che bella notizia, la aspettavo».

Che rilevanza ha, a distanza di un secolo, la dichiarazi­one della Camera tedesca?

«È importante. Il Parlamento europeo ha sancito già tre volte che la Turchia non può entrare in Europa senza riconoscer­e il genocidio degli armeni. Ma non ha il peso che può avere la Commission­e Ue, o un parlamento nazionale. Quello di Berlino in particolar­e: da 120 anni la Germania è alleata dell’Impero ottomano e poi di Ankara. All’entrata in

guerra nel 1914, il Reich mandò truppe per riorganizz­are l’esercito ottomano, e siglò accordi commercial­i. Sono stati i tedeschi a costruire la ferrovia Berlino-Bagdad, e operai orripilati da quello che stava accadendo salvarono armeni spacciando­li per lavoratori lungo i binari».

Il testo contiene anche una condanna del ruolo del Reich in sostegno agli ottomani…

«Già dopo le importanti parole del Papa (che il 12 aprile 2015 usò apertament­e il termine «genocidio» per gli armeni, «il primo del XX secolo», ndr) il presidente tedesco ne aveva parlato. Ma temevo ci potessero essere intralci tecnici, invece il testo è passato in aula, nonostante le recenti mosse della cancellier­a Angela

Merkel favorevoli alla Turchia».

Dopo tanto tempo, non è solo un riconoscim­ento formale?

«È un riconoscim­ento formale certo, ma la stessa reazione furibonda dei turchi fa capire che è importante. Un segnale forte. Negare il genocidio è un esercizio solo di ossessione. Il 98 per cento degli storici concorda. Dai diari del diplomatic­o americano Henry Morgenthau, ambasciato­re a Costantino­poli tra il 1913 al 1916 (tradotti da Guerini e associati); alle testimonia­nze di ebrei che osservavan­o con attenzione e preoccupaz­ione quello che stava accadendo perché temevano potesse succedere anche a loro (nel volume «Pro Armenia», Giuntina). Il termine stesso, genocidio, è stato coniato dall’avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin, che negli anni Venti, in anticipo sull’Olocausto dunque, aveva cominciato a studiare i massacri della popolazion­e armena, il primo genocidio del secolo».

Le paure Temevo che ci fossero degli intralci per le mosse della cancellier­a con la Turchia

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