Dal ’93 a Milano il più trasversale vince. Oggi l’incognita M5S
Spingersi oltre i propri confini di appartenenza, pescando voti il più possibile in modo trasversale, senza perdere i consensi della propria base elettorale. È il dilemma tra identità e apertura, che giocherà un ruolo chiave nella sfida milanese tra Giuseppe Sala e Stefano Parisi. Tra identità e apertura si sono giocate tutte le sfide elettorali cittadine dal 1993 (prima elezione diretta del sindaco a oggi): e questo appare evidente se si rileggono i flussi elettorali elaborati dall’Istituto Cattaneo nelle Comunali milanesi dal 1993, analisi che permette di cogliere importanti aspetti delle strategie delle coalizioni e sollecita domande sulla collocazione delle nuove forze politiche. È stato il centrosinistra a combattere, in passato, tra identità e apertura, al centrodestra bastava amministrare il vantaggio di partenza. Già nel 1993, come fotografano i flussi elettorali in entrata rispetto all’89: il candidato (sconfitto) di centrosinistra, Nando Dalla Chiesa, pesca quasi esclusivamente a sinistra (metà dei suoi elettori provengono dal Pci, poco meno di 1/5 dall’estrema sinistra e una quota simile dal Psi). Al di fuori di questo bacino, solo briciole. Il leghista Marco Formentini pesca invece in modo più trasversale. E vince. Scottato da questo risultato, il centrosinistra è andato alla ricerca di figure che attraessero voti oltre gli steccati tradizionali, col risultato paradossale di schierare a volte candidati che non tenevano serrati i propri ranghi senza riuscire a sfondare nel campo opposto. Solo nel 2011 con Giuliano Pisapia (favorito dalla debolezza congiunturale del centrodestra e dagli errori dell’avversaria in campagna elettorale), la coalizione trova la quadratura del cerchio. Nel 1997, col confindustriale Aldo Fumagalli, la coperta, tirata troppo al centro, lascia scoperta la sinistra: il bacino che fu di Dalla Chiesa è rosicchiato dal comunista Umberto Gay e dall’astensione. Nel 2001 ci prova il sindacalista cattolico Sandro Antoniazzi, che recupera quasi tutta la sinistra ma, rispetto a Fumagalli, perde voti di cui si avvantaggiano Albertini (il 2,7% del corpo elettorale), gli outsider Antonio Di Pietro e Milly Moratti (il 4% del corpo elettorale) e l’astensione (l’1,3% dell’elettorato). I sostenitori di Gabriele Albertini (centrodestra) rivelano invece una granitica fedeltà. Nel 2006 Letizia Moratti eredita una larga fetta dei voti di Albertini e Bruno Ferrante eredita quasi tutti quelli di Antoniazzi. Molte le novità nel 2011. Pisapia riesce a strappare direttamente una quota rilevante (il 4,4% del corpo elettorale) di voti a Moratti. Quest’ultima subisce una perdita non trascurabile (3,1% dell’elettorato) verso il Fino al 2012 le scelte degli elettori cinquestelle sono state contigue alla sinistra, tra il 2013 e il 2015 c’è stato il rifiuto di tutti i partiti candidato del centro (Manfredi Palmeri) e verso l’astensione. Riguardo al M5S le stime evidenziano una contiguità col centrosinistra: l’83% dei voti di Mattia Calise proviene da Ferrante e solo il 13% da Moratti. I flussi tra i due turni confermano la contiguità: contrariamente a quanto accade negli anni successivi, quando gli elettori del M5S, se «orfani» del proprio simbolo, preferiscono l’astensione, quasi 2/3 degli elettori di Calise al ballottaggio scelgono Pisapia. Quale storia racconteranno i prossimi flussi? Una delle incognite riguarda proprio il M5S: a chi ruberà più voti? E se sarà escluso dal secondo turno, come si comporteranno i suoi elettori? Fino al 2012, nei ballottaggi le scelte erano movimentiste (contiguità con la sinistra). Tra il 2013 e il 2015 le scelte sono state identitarie (rifiuto di tutti i vecchi partiti). Il 2016 sarà l’inizio di una fase politica, in cui le eventuali scelte al ballottaggio terranno conto degli effetti nazionali del voto?.
*ricercatore Istituto Cattaneo