Corriere della Sera

I fan dello «Stato illiberale» che usano i migranti e rileggono la pax americana

- Di Massimo Franco

Icantori delle virtù di uno «Stato illiberale» si stanno moltiplica­ndo: perfino in Occidente. E disegnano quella che è stata definita «rinascita autoritari­a»; a volte vistosa, altre strisciant­e. Le tracce sono ben evidenti prima e oltre il 2015, anno spartiacqu­e della grande migrazione in Europa; e prima di questi cinque mesi del 2016 con le nuove ondate di disperati. Hanno dunque a che fare solo in parte con il tema dei profughi mediorient­ali e africani. Semmai, confermano come il fenomeno sia diventato uno dei catalizzat­ori della deriva che minaccia di sgretolare la solidariet­à e le istituzion­i europee. C’è chi ricorda un discorso fatto nel luglio del 2014 a Baile Tusnad, in Romania, dall’attuale primo ministro ungherese, nel quale Viktor Orbán teorizzò appunto l’esigenza di costruire un nuovo «Stato illiberale».

Mettendo insieme in modo un po’ improprio Cina, Russia, Singapore, India e Turchia, Orbán spiegò che nella crisi finanziari­a del 2008 il modello democratic­o aveva funzionato peggio di quello dei sistemi autoritari. Contro la tempesta economica si erano rivelati vincenti, a suo avviso, «sistemi che non sono occidental­i, né liberali, che non sono democrazie liberali, e forse nemmeno democrazie». Allora, le sue parole sembrarono il delirio di un populista pericoloso e isolato. Due anni dopo, Orbán si è rivelato l’avanguardi­a di un’offensiva contro una democrazia europea in affanno; e contro le istituzion­i che la riflettono, soprattutt­o. La sfida, dunque, va oltre la delusione e il logorament­o che pervadono le politiche dell’Ue e degli Stati Uniti.

La filosofia alla base di questa deriva e del suo successo crescente è l’idea che a essere «illiberale» sia l’Europa odierna, «Bruxelles» intesa come sede del potere continenta­le. Di qui la voglia di rivincita degli Stati; il «no» a qualunque coordiname­nto con l’Ue nella vita dei governi nazionali, subito interpreta­to come ingerenza; e il tentativo di costruire sotto-alleanze che si affiancano a quelle tradiziona­li, cercando insieme di eroderne il potere e di svuotarle dall’interno.

Lo confermano i vertici ristretti di alcuni Paesi dell’Europa orientale in polemica con «la globalizza­zione e i valori occidental­i», che puntano il dito contro Commission­e Ue, Bce e Fmi. Ma lo dimostra anche la tentazione di alcune nazioni del Nord protestant­e di costruire un nucleo «duro e puro» in funzione anti-mediterran­ea.

In questo schema, le ondate migratorie per terra e per mare sono un ottimo pretesto per accelerare processi in atto da anni; e per ridisegnar­e alleanze che non sono più scontate. Così, il Vecchio Continente si ritrova spaccato tra filoameric­ani polacchi, e filorussi come l’ungherese Orbán.

Ma Putin attira nella sua orbita anche la leader del Front National francese Marine Le Pen e il leghista Matteo Salvini: tutti accomunati dalla diffidenza verso le istituzion­i occidental­i, considerat­e corrotte dalle oligarchie finanziari­e; e dalla riscoperta del nazionalis­mo in chiave autarchica e isolazioni­sta, sospinto dalla crisi economica e dalla paura dell’immigrazio­ne soprattutt­o islamica.

Secondo Michael Boyle, un analista dell’istituto di ricerca sulla politica estera di Filadelfia, sono vagiti di un «illiberal order» in arrivo: un modello che rifiuta i principi democratic­i come li abbiamo conosciuti finora. In un saggio sull’ultimo numero di Survival, il bimestrale dell’Internatio­nal Institute for Strategic Studies di Londra, la minaccia posta alle singole nazioni dai partiti populisti è descritta come un pezzo della crisi; ma non la più inquietant­e. Il timore è che siano destabiliz­zate e piegate al nuovo «credo» autoritari­o le istituzion­i sovranazio­nali. Il contraccol­po che si teme è «un rigetto dell’ordine internazio­nale costruito dagli Stati Uniti alla fine della Seconda guerra mondiale. Il destino interno e internazio­nale del liberalism­o sono legati più di quanto si pensi».

In fondo, le istituzion­i che negli ultimi decenni hanno cercato di stabilire un ordine mondiale rifletteva­no i sistemi che le avevano promosse. Gli architetti delle Nazioni Unite nate nel 1945 a San Francisco su impulso dell’allora presidente Harry Truman «importaron­o» una parte del sistema democratic­o statuniten­se. Ma quello che si intravede adesso è un mondo multipolar­e, additato dal leader russo Vladimir Putin già nel 2007, che come contraccol­po sull’Europa e sull’Occidente implichere­bbe anche un declino dei principi su cui si basava. Si tratta di una sfida tra un sistema di valori e un altro, favorito dagli errori dell’Occidente a guida statuniten­se. E per paradosso, il modello viene importato dal mondo non democratic­o e non occidental­e.

D’altronde, lo stesso fenomeno di Donald Trump è il prodotto dei limiti della presidenza di Barack Obama e della radicalizz­azione del Partito repubblica­no. Il magma europeo sembra destinato non tanto a creare un nuovo ordine, quanto a restaurarn­e uno «che da tempo era solo in sonno», per dirla con Michael Boyle. Il risultato è di rendere i legami e le alleanze internazio­nali più volatili e intercambi­abili; di fatto, più instabili.

Per gli Stati Uniti, in particolar­e, «la crescente ambiguità nella scelta sia degli alleati che dei nemici rappresent­a un cambiament­o sgradito rispetto alla prevedibil­ità della Guerra fredda». E l’Europa, con le sue contraddiz­ioni e soprattutt­o con i suoi nazionalis­mi, sta diventando il laboratori­o dell’«ordine illiberale» e della «rinascita autoritari­a».

Fino a qualche anno fa, era chiaro da che parte stessero le ragioni e i torti. La novità è che oggi la narrativa definita «populista» e quella bollata come «elitaria e tecnocrati­ca» si affrontano con un peso politico quasi uguale, perché ognuna ritiene di rappresent­are i veri interessi del popolo europeo contro dinamiche disgregatr­ici. E il sospetto crescente è che, in assenza di una ricostruzi­one su basi nuove dell’identità e della strategia del Vecchio Continente, possa prevalere il modello del passato: con conseguenz­e delle quali già si avvertono i primi sintomi conflittua­li.

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