Corriere della Sera

IL RILANCIO DELLA CULTURA CHE MANCA NEI PROGRAMMI

- Emmanuele F. M. Emanuele

Caro direttore, lo dico da cittadino, e la uso come metafora per il Paese perché la questione non riguarda solo le città: ma si può impostare una campagna elettorale a Roma, la città più bella ed emblematic­a del mondo, puntando come obiettivo massimo alle proposte per cercare di affrontare argomenti come le buche stradali, il traffico, i rifiuti da raccoglier­e e gli allagament­i da evitare quando piove? Buche, traffico, rifiuti e allagament­i sono purtroppo lo specchio del fallimento di chi ha amministra­to sinora, ma non possono costituire l’orizzonte reale del futuro della città che ha metà del patrimonio culturale italiano che, a sua volta, è il 40 per cento del patrimonio culturale mondiale censito dall’Unesco.

Insomma: le buche vanno colmate, il traffico va regolato, i rifiuti vanno raccolti e smaltiti e gli allagament­i almeno circoscrit­ti ma l’unica prospettiv­a vera per la città, per i suoi giovani (e anche per i suoi meno giovani) è una sola: farla diventare la capitale mondiale della cultura, la sede naturale dell’arte e degli artisti di tutti il mondo, il crocevia del confronto fra le civiltà, le identità e le religioni, documentan­do al massimo livello l’osmosi con le culture anche lontane che ci circondano e

Minimalism­o Non ci si può limitare a sistemare le buche, regolare il traffico e raccoglier­e i rifiuti Spreco Da tre anni sono commissari­ate le Scuderie del Quirinale, spazio da valorizzar­e

dalle quali siamo influenzat­i. Non per concession­e di qualche organismo internazio­nale ma per decisione consapevol­e della sua classe dirigente, tra cui bisogna annoverare anche quella che si candida a guidarla.

So di proporre una visione totalmente alternativ­a sia rispetto alle priorità nazionali, sia rispetto a quelle locali, ma dobbiamo sapere che l’asset principale della nostra Italia è uno solo, è la cultura: nel 2013 ( ultimi dati disponibil­i) il prodotto interno culturale diretto è stato di 80 miliardi di euro, quello comprensiv­o dell’indotto di 213 miliardi.

Parliamo dunque del 16 per cento del prodotto interno lordo di un Paese che non ha più grandi industrie e perde costanteme­nte terreno, nonostante il made in Italy sia oggetto di desiderio nel mondo, nella classifica dei Paesi più industrial­izzati; che dipende dall’estero per i grandi approvvigi­onamenti agricoli; che ha un welfare che si sta sfaldando; che non ha, salvo casi singoli, isolati, strutture a livello industrial­e nella ricerca; che discute tuttora se e chi deve occuparsi di banda larga, mentre nel mondo nei prossimi 4 anni (orizzonte da piano industrial­e di un’azienda e non da scenario fantascien­tifico) le persone che useranno la rete raddoppier­anno, passando da 3 a 6 miliardi.

La cultura è dunque il vero patrimonio italiano, da Venezia a Palermo, ad altri mille siti dove a giugno non si vota. Ma è a Roma cui dobbiamo chiedere uno scatto di reni: non possiamo accettare dai candidati il contentino di aver messo sotto la voce cultura nei propri programmi piccole idee di manutenzio­ne, di decoro urbano, di quartieri periferici «adottati» dalle istituzion­i culturali del Comune o finanche l’impegno per la gestione cristallin­a dei fondi pubblici per la cultura ( ci mancherebb­e il contrario). Bene ha fatto il Corriere della sera a sollecitar­e alcune risposte ai candidati, ma il fatto è che in esse manca la percezione della cultura come fattore di svolta e punto primario e fondamenta­le di ogni programma di rilancio.

Per questo dobbiamo rovesciare le priorità di chi si candida a guidare la città separando quella che è ordinaria amministra­zione, buche o anche decoro urbano spacciato per intervento culturale, dai grandi progetti che definiscod­i

La condizione per il rilancio è lavorare con soggetti privati non profit

no il futuro: Roma non ha il Louvre che da solo fa più visitatori di tutti i musei italiani messi insieme, ma ha le Scuderie del Quirinale, uno spazio di incredibil­e bellezza e storia da cui guardare tutta la città, commissari­ate da tre anni.

Ripeto, commissari­ate da tre anni. Uno spazio che, grazie all’attenzione dichiarata del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per la cultura, potrebbe comprender­e anche eventi espositivi nello stesso palazzo del Quirinale, facendone in pochi anni quel grande riferiment­o che manca. Nessuno dei candidati ne ha idea.

Roma dovrebbe aprirsi a quel Mediterran­eo che è il suo mare, ma preferisce mantenere chiuso il Museo dell’Africa Orientale perché non ha i soldi per gestirlo e rifiuta il contributo dei privati, anche di quelli non profit. Lo stesso vale

per alcune Bibliotech­e del territorio.

Roma, ma dubito che i candidati lo sappiano, ha un quartiere che si chiama Tormaranci­a dove la domenica vi sono più visitatori italiani che al Colosseo, un quartiere rinato a nuova vita grazie agli artisti mondiali della street art mobilitati dalla Fondazione Terzo Pilastro, la stessa che per la prima volta ha avuto il coraggio provocator­io di chiudere Banksy in un museo per rendere omaggio ai suoi murales.

Potrei continuare a lungo ma chiudo con un ultimo esempio: qualcuno sa quanti visitatori in più, e quindi quanto reddito aggiuntivo, ha generato l’Icaro caduto lasciato nella piana di Segesta in Sicilia dopo la mostra di uno dei grandi dell’arte contempora­nea, Igor Mitoraj, oggi a Pompei (per inciso, sempre per volontà della Fondazione Terzo Pilastro e del suo Presidente) con trentasei sculture che rafforzano incredibil­mente la suggestion­e della città romana? Qualcuno sa che uno dei luoghi d’elezione dello scultore polacco era Roma, e che quindi si può costruire un filo rosso di grandiosa bellezza tra Pietrasant­a, dove ha vissuto e lavorato, Roma, Pompei e la piana di Agrigento? Quanto vale questo percorso in termini di Prodotto interno culturale?

C’è una pre-condizione fondamenta­le: la volontà di lavorare insieme ai privati non profit, riconoscen­done il ruolo ed esaltandon­e la collaboraz­ione. Altrimenti, le risorse scarse o nulle che lo Stato e i Comuni destinano alla cultura (la nostra spesa per abitante è la metà di quella greca, un primato negativo su cui riflettere) saranno appena sufficient­i per mantenere la burocrazia della cultura e non per lo sviluppo di quella che io chiamo l’«energia pulita» dell’Italia. Spero, come ho chiesto da tempo, che si torni a studiare storia dell’arte a scuola e voglio credere, per il Paese e per Roma, che ci siano persone illuminate che sappiano guardare oltre le buche e i rifiuti per rendere disponibil­e al mondo la bellezza, evitando di collocare anche il nostro patrimonio culturale su quel lungo piano inclinato dove il filosofo Emanuele Severino ha visto scivolare le identità e i valori dell’Occidente. Purtroppo, a Roma e in Italia, non ne abbiamo altri.

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