Corriere della Sera

PARTIGIANO E DIPLOMATIC­O LA VITA DI ENRICO MARTINO

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Nella risposta a un lettore sugli ambasciato­ri politici che hanno rappresent­ato l’Italia immediatam­ente dopo la fine della Seconda guerra mondiale, lei ha ricordato il nome di Enrico Martino che fu tra l’altro ministro a Berna. Ho fatto una ricerca e mi sono imbattuto in due Martino – Enrico e Errico – che hanno fatto carriere in parte simili, in parte diverse. Può chiarirmi le idee? Marta Sala

Venezia

Cara Signora,

Sono in parte responsabi­le della confusione. Il Martino di cui parliamo fu Errico sino al 1945: era figlio di un padre che si chiamava Enrico e vi era allora una legge sulle registrazi­oni anagrafich­e che vietava d’imporre al figlio lo stesso nome del genitore. Ma dopo la fine del conflitto, quando quella legge fu meno severament­e applicata, Errico si riprese il nome scelto dai genitori al momento della sua nascita e divenne finalmente e definitiva­mente Enrico. È molto probabile, tuttavia, che vi fossero ancora documenti rilasciati in anni precedenti e che qualche burocrate, chiamato a prendere nota del suo nome in alcune delle sue diverse incarnazio­ni, si sia ostinato a scrivere Errico anziché Enrico.

Le incarnazio­ni furono effettivam­ente numerose. Martino non fu soltanto uno degli esponenti del Comitato di Liberazion­e genovese che ricevetter­o e controfirm­arono l’atto di resa delle truppe tedesche a Villa Migone il 26 aprile 1945: «l’unico caso europeo del secondo conflitto mondiale, secondo Paolo Emilio Taviani, in cui un intero corpo d’Armata tedesco si sia arreso alle forze partigiane». Fu il primo Prefetto della Genova liberata, sedette all’Assemblea costituent­e fra i rappresent­anti del Partito repubblica­no, divenne sottosegre­tario al ministero della Guerra nel secondo governo De Gasperi.

La sua carriera internazio­nale cominciò nel 1947 quando Carlo Sforza, ministro degli Esteri, lo mandò a dirigere la rappresent­anza diplomatic­a italiana a Belgrado. Non si era ancora dissolto nell’aria del dopoguerra il ricordo dell’occupazion­e italiana in Jugoslavia durante il conflitto e del colpo di mano con cui le truppe di Tito, due anni prima, avevano cercato di impadronir­si di Trieste. Il maresciall­o jugoslavo era allora per l’Italia uno scomodo interlocut­ore. La sua seconda missione fu meno turbolenta, ma per molti aspetti più personalme­nte impegnativ­a. L’Italia aveva perduto le sue colonie, ma era stata incaricata dagli Alleati di preparare la Somalia all’indipenden­za con una decennale «amministra­zione fiduciaria». Martino, quindi, fu l’ultimo «governator­e di colonia» alla fine dell’impero coloniale italiano. Quello delle altre potenze coloniali avrebbe subito, anche se più lentamente, la stessa sorte.

Ormai accolto stabilment­e nei ranghi del ministero degli Esteri, l’avvocato antifascis­ta genovese era ormai un diplomatic­o della Repubblica. Da Mogadiscio andrà a rappresent­are l’Italia a Montevideo, Dublino, Vienna e Berna; e tornerà a fare l’avvocato, ma sul piano internazio­nale, come vicepresid­ente del Contenzios­o diplomatic­o, vale a dire della istituzion­e che funge da consulente legale del ministro degli Esteri. Morì a Roma nel 1981.

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