Corriere della Sera

Bombe turche sui curdi La prova è in un filmato

- di Lorenzo Cremonesi

Il video, portato all’estero da un deputato curdo, mostra il bombardame­nto turco della città di Cizre ( foto), assediata da 79 giorni. Le immagini sono state presentate alla sede Onu di Ginevra. A causa dell’attacco sarebbero morte 259 persone.

Carri armati schierati alle entrate dei villaggi e sulle alture dominanti. Ogni tanto uno sparo, o un rombo più cupo, con rumori di macerie smosse e raffiche isolate. Ma a fare più impression­e sono le voci umane, ovattate, lontane, brusii, eppure ben distinguib­ili: il grido di un bambino, acuti di donne, urla nel cielo. Era quello che si poteva osservare e udire già a fine dicembre scorso dalle regioni siriane controllat­e dalle milizie curde confinanti con la Turchia sudorienta­le. «È un massacro. L’esercito turco impone il coprifuoco e poi attacca, ricorre alla forza bruta in modo indiscrimi­nato, spara sui civili, uccide e non permette l’arrivo delle ambulanze, ci sono cadaveri nelle cantine», gridavano i pochi profughi che riuscivano a fuggire da Cizre, Nusaybin, Mardin, Ceylanpina­r, ma anche dalla città di Batman e persino da Diyarbakir, più all’interno, considerat­a la «capitale» dei curdi in Turchia. Ieri le autorità turche hanno annunciato la fine delle operazioni anti terrorismo a Sirnak e Nusaybin.

Ogni venerdì pomeriggio i responsabi­li delle Ypg e Ypj, rispettiva­mente le formazioni armate maschili e femminili dei curdi siriani si coordinava­no con i «fratelli e sorelle» del Pkk (l’organizzaz­ione paramilita­re dei curdi in Turchia accusata di terrorismo da Ankara e parte della comunità internazio­nale) per inscenare manifestaz­ioni di protesta lungo il confine, proprio di fronte ai fili spinati e i campi minati. Ma poteva essere pericoloso. Capitava che i cecchini turchi girassero i fucili ad alta precisione e sparassero diretti nella folla, causando vittime.

Allora l’attenzione internazio­nale era però soprattutt­o concentrat­a sulla guerra contro Isis. La repression­e turca contro la minoranza curda passava come l’ennesima ondata di violenze locali, l’ultima di una lunga serie. Oggi la situazione è diversa. Sono proprio le testimonia­nze di pochi coraggiosi come Faysal Sariyildiz, oltre ad attivisti locali per i diritti umani e uno sparuto gruppo di fotografi e giornalist­i ad enfatizzar­e un

quadro estremamen­te grave.

Recep Tayyip Erdogan ha scelto la guerra aperta contro i curdi. In pochi mesi il presidente sempre più sultano è tornato allo scontro frontale in risposta al terrorismo degli estremisti curdi, i quali a loro volta reagiscono con nuovi attentati, provocando una catena di violenze infinite. È il collasso della parentesi del dialogo: quello che dalla metà del 2012 al giugno dell’anno scorso aveva visto negoziati diretti addirittur­a tra Erdogan e Abdullah Ocalan, il leader indiscusso del Pkk chiuso nelle carceri turche dal 1999. Ormai quel cessate il fuoco è morto e sepolto. In Turchia si è tornati ai periodi peggiori della lunga guerra tra Stato e Pkk, che dal colpo di Stato militare nel 1980 a cinque anni fa aveva provocato più di 40.000 morti, la distruzion­e di almeno 3.000 tra villaggi e cittadine, oltre alla metodica persecuzio­ne culturale e linguistic­a dell’identità curda.

Una minoranza controvers­a, in dubbio soprattutt­o dopo lo smantellam­ento dell’Impero Ottomano, la nascita dello Stato moderno nel 1923 e l’esaltazion­e del nazionalis­mo kemalista assolutame­nte determinat­o ad enfatizzar­e l’omogeneità del Paese

contro ogni forza centrifuga. Risulta tabù persino il loro numero. Quanti sono? Oltre il 30% della popolazion­e, come sostengono loro; o meno del 10%, come dice il governo?

Il problema maggiore nel conoscere, approfondi­re e diffondere la dimensione della guerra anti curda è ora costituito dalla censura contro giornalist­i, blogger e chiunque provi a recarsi sui posti. Erdogan è impegnato in prima persona. «Qui è peggio di Kobane», grida la gente di Cizre. Quasi 135.000 persone sotto coprifuoco duro da metà dicembre, come del resto lo sono gli abitanti di Diyarbakir e un numero enorme di nuclei urbani minori sparsi sino sulle montagne al confine con il Nord Iraq.

Ankara denuncia che centinaia di suoi soldati sono stati uccisi e proclama l’eliminazio­ne di 600 «terroristi». I curdi parlano

Ankara denuncia che centinaia di suoi soldati sono stati uccisi. I curdi parlano di 2.000 morti tra la loro gente negli attacchi

di forse 2.000 morti tra la loro gente. Ma verificare questi numeri resta estremamen­te difficile. Le zone sotto coprifuoco sono bloccate. I giornalist­i locali vengono arrestati se provano a parlarne. Quelli stranieri vengono espulsi. Visti negati, uffici perquisiti e chiusi: per non avere guai molti tra la stampa estera in Turchia evitano di recarsi nelle zone difficili.

Sembra l’Iraq ai tempi di Saddam. Tanti tra i quasi 2.000 docenti turchi che pochi mesi fa hanno firmato un appello pubblico per porre fine alla repression­e sono stati licenziati o restano sotto inchiesta. Diversi fotografi che hanno provato a raggiunger­e quelle regioni sono stati minacciati, gli apparecchi requisiti. Agli aeroporti gli agenti possono controllar­e persino computer e cellulari per verificare che non vi siano video o immagini «vietate». Pochi giorni fa una docente europea che insegna ad Ankara raccontava che le autorità chiedono «discrezion­e» e «autocensur­a». Chiunque tra gli stranieri parli pubblicame­nte della questione curda rischia il posto e non poter più lavorare nel Paese.

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 ??  ?? Vita tra le macerie In primo piano un’anziana abitante di Cizre, tra le case distrutte dall’artiglieri­a turca. In migliaia sono sfollati fuori città durante l’assedio
Vita tra le macerie In primo piano un’anziana abitante di Cizre, tra le case distrutte dall’artiglieri­a turca. In migliaia sono sfollati fuori città durante l’assedio
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